Rubrica settimanale del mercoledì
Fuori del Coro | n. 01-1994
Siamo quotidianamente bombardati di parole, di notizie, di suggestioni che lasciano impressioni così contraddittorie da farci disperare della possibilità stessa di capire cosa realmente accade. Il poter contare su dati ed informazioni in tempo reale non ci aiuta, ma finisce solo a sovrapporre elementi diversi, lasciando ancora più confusi per la rapidità con cui i mutamenti avvengono: anzi più aumentano le voci che ci parlano o le fonti di informazione, e più rischiamo di rimanere intrappolati nella ridda delle interpretazioni, al punto di dubitare della reale consistenza delle cose. È lo strano destino della società multimediale che da un lato ci fa assorbire una quantità spropositata di stimoli, ma dall’altra ci priva dello spazio e del tempo per un giudizio più profondo! Nel “villaggio globale” ognuno ha diritto di parola, ma quando tutti dicono cose diverse sulla medesima realtà il risultato è una specie di “Babele”: tutto può essere talmente vero, che nulla lo è realmente; la realtà diventa così sfaccettata da perdere la sua evidenza primordiale, con il risultato disarmante di approdare alla convinzione dell’antico sofista Gorgia il quale concludeva che “nulla è, anche se qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, e quand’anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”!
Da qui nasce una sorta di rassegnazione di fronte alla realtà, che ci rende difficile esprimere dei giudizi, anzi che tende a spegnere l’originaria domanda con cui la ragione cerca la verità delle cose. Il risultato è che si rimane preda della reattività dell’istante e ci si lascia ingabbiare nella trappola dell’omologazione, del pensare tutti allo stesso modo a seconda delle mode culturali, perdendo il senso autentico del proprio io e divenendo incapaci di confrontarsi con gli altri.
La radice di questo processo di omologazione, che tende a ridurre ognuno a strumento monocorde di una musica monotona (ossia proprio impostata su un’unica nota), sta – abbozzo un’ipotesi di cui dovremo discutere – nell’atteggiamento fondamentalmente nichilista della nostra cultura. Il nichilismo, prima di essere una filosofia che nega teoricamente l’esistenza della verità (ma non è contraddittorio dire che la verità non esiste e pretendere che ciò sia vero?), è quell’atteggiamento quotidiano di sostanziale rinuncia a cercare il significato della vita per spiegare in modo vero, cioè integrale, il senso delle vicende personali e collettive in cui siamo immersi. Sottilmente il coro di voci che ci avvolge vuole convincere che in fondo non c’è nulla per cui valga veramente la pena di spendersi, perché tutto è sostanzialmente identico e nulla può diventare il vero centro dell’esistenza umana. Eppure ciascuno fa poi le sue scelte, magari difendendo accanitamente i suoi personali interessi con un impegno incondizionato, anche se ha rifiutato l’esistenza di un valore o di un bene assoluto. Ciò dimostra che nessuna cultura del sospetto, nessuna polemica rissosa, nessuna pretesa di aver ragione a tutti i costi può eliminare l’esigenza della verità che muove ogni azione.
Per questo bisogna avere il coraggio di “uscire dal coro” delle voci che rimbombano nella nostra mente e che ci portano lontano dalla realtà, per assumere da “fuori del coro” una distanza critica, uno sguardo prospettico che sappia andare oltre l’immediatezza. Occorre certo superare una certa pigrizia mentale, e tornare ad interrogarsi sulle grandi questioni dell’uomo sia giudicando gli avvenimenti della cronaca di tutti i giorni sia riprendendo il significato delle parole decisive della vita. È quanto, con pazienza ed umiltà, vorrei cercare di fare in questa conversazione settimanale che gentilmente La Prealpina mi ha chiesto di condurre.
Andando un po’ controcorrente (non certo per il gusto conformistico dell’anticonformismo), voglio inoltrami nella sfida che la realtà ci pone ogni giorno: o quello che accade ha un senso, oppure tutto è inutile e insensato, ed allora avrebbe ragione il nichilismo. Ma il lettore ha già capito che il nichilismo è un tradimento della ragione, per questo gli chiedo di iniziare con me questa avventura della lotta per il significato, sapendo che il significato non è merce che si acquista a buon mercato, ma è un bene che chiede il coraggio di uscire dal coro delle voci che normalmente ci ammaliano.