Lo stupore del Natale
Fuori del Coro | n. 51-1995
E anche quest’anno, pur con qualche affanno e in mezzo alle difficoltà della politica e della situazione mondiale, stiamo arrivando a Natale. Sarebbe facile aprire la retorica del ritorno fanciullesco alla magia della bontà natalizia, o la predica contro il Natale consumistico che fa dello spreco e dei regali il suo unico interesse; sarebbe ovvio ricordare il classico “natale con i tuoi” per sottolineare l’aspetto familiare di questa festa intorno ai simboli del presepe e dell’albero; e sarebbe suggestivo recuperare le tradizioni natalizie fatte di canti, di preghiere, di riti, di gesti di amore e di pace. Ma una domanda più radicale viene in mente pensando all’avvento del Natale cristiano: la festa della nascita del Bambino di Betlemme ha ancora qualcosa da dire al cuore dell’uomo di oggi, al di là della nostalgia un po’ fiabesca di un ricordo di infanzia? È possibile stupirsi ancora di quell’avvenimento di cui S. Luca disse che i pastori si mossero in fretta per vederlo?
Un anno fa, iniziando questo mio dialogo “fuori del coro” con i lettori che mi hanno voluto leggere, segnalavo proprio in occasione del Natale la necessità per ognuno di riscoprire il bisogno di essere salvati dal non senso, dall’assurdo, dalla menzogna in cui spesso la nostra condizione di uomini si trova. E tutte le osservazioni che sono andato sviluppando in questo mio ideale colloquio con i lettori si sono mosse alla ricerca della verità del cuore umano, ossia della riscoperta di quelle esigenze vere che ciascuno di noi ha in sé proprio in quanto uomo. Spero che a nessuno appaia sentimentale o dolciastro cercare le “ragioni del cuore”, perché il cuore è in realtà il fondo del nostro “io”, l’essenza vera del nostro volto umano di cui spesso neppure noi conosciamo la profondità e la ricchezza. E, a volte, è proprio la cronaca a mettere in luce la trascuratezza nel trattare il nostro io o la superficialità nel vivere la propria identità.
Per questo la prima grande notizia che il Natale reca in sé (si chiama Evangelo, ossia buona novella!) è che l’uomo vale proprio in quanto uomo sin dalla sua nascita: se persino Dio non ha disdegnato di assumere la natura umana secondo tutte le modalità storiche ed esistenziali con cui ogni individuo viene al mondo, ciò significa che l’esistenza di ognuno è un bene irripetibilmente grande e prezioso. In questo senso il Natale è la possibilità per ognuno di ritrovare il proprio vero volto di uomo e di stupirsi di questa originalità, ma al contempo è la grande occasione per sviluppare la propria creatività in rapporto al volto di tutti gli altri uomini.
È per questo che è commovente vedere nel presepio i pastori di tutte le età e di tutte le razze guardare verso l’unico centro della scena natalizia rappresentato da quel Bambino: significa che da qualunque parte si venga, qualunque sia la condizione che si vive, qualunque sia il carico di esperienza su cui si è costruito il proprio volto di uomini, la direzione verso cui andare è la stessa. Nulla è di impedimento all’incontro con il Dio-Bambino che illumina tutti, tranne il poco amore al proprio io o la distrazione sul proprio destino.
Voglio concludere con le parole più significative che ho letto in questi giorni sul Natale: “Nulla è così commovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il cammino faticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano”. È il mio augurio di Buon Natale a tutti i lettori, con i quali voglio condividere questa inesauribile passione per la verità della vita.