La logica del dono 1
Fuori del Coro | n. 17-1996
Viviamo in una società mercantile in cui la logica dello scambio, dell’obbligazione, della contrazione di doveri verso qualcuno, è dominante e governa i rapporti quotidiani. Nessuno accetterebbe di ricevere qualcosa senza pensare di dover restituire qualcos’altro in termini di favore o di prestazione. Il commercio, in senso lato, è la prassi dominante nelle relazioni personali: l’amicizia può essere interessata, la generosità nel donare è qualche volta ricerca di narcisistica gratificazione per la propria bontà, persino l’amore uomo-donna può essere dominato da secondi fini inconfessati. Dunque la misura dei rapporti sembra essere la quantificazione del debito e del credito: ciò che si dà crea l’obbligo o l’aspettativa di un’eguale restituzione, tanto che se ne fa una questione morale di equità. Sarebbe immorale contrarre debiti senza pagarli: si pensi alla sottile pretesa che i figli hanno verso i genitori quando chiedono loro di sdebitarsi di averli messi al mondo pretendendo ogni bene ed ogni comodità, o alle attese di padri e madri che sperano dalle loro creature una ricompensa per i sacrifici fatti.
Eppure esistono delle situazioni in cui si affaccia una logica diversa: la logica del dono, ossia dell’offerta all’altro di qualcosa sotto la forma dell’ospitalità, del servizio o del regalo in senso stretto. Sono situazioni in cui la logica dominante non è quella del patteggiamento e della misura. Perché, ad esempio, una madre fa un regalo al suo bambino? Per puro autocompiacimento o per sentire apprezzata la sua bontà? Forse. Ma più alla radice perché questo crea un legame, fonda la verità della sua relazione con il figlio e le permette di vivere uno scambio simbolico ben più profondo della misura del puro dovere.
Il dono è il punto più alto di una traiettoria che comprende il dare, il ricevere e il rendere, in una prospettiva in cui si può ricevere molto senza sentirsi in debito, e si può guardare l’altro senza essere obbligati a restituire in pari quantità. Infatti la vera dignità sta nel saper ricevere, senza sentirsi umiliati o schiacciati dal dono dell’altro, riconoscendolo anzi con infinita gratitudine come un segno di salvezza: si pensi, ad esempio, a chi rinasce alla vita a seguito di un trapianto d’organo ricevuto da uno sconosciuto! Il fatto che uno, morendo, renda possibile la vita di un altro sfonda l’artificiosità della logica dello scambio e manifesta l’insostituibilità del dono per la condizione umana.
Di questi temi, così suggestivi per un approccio autentico al significato delle relazioni elementari, ho sentito parlare in un incontro con il Prof. Jacques Godbout, antropologo dell’Istituto di ricerche scientifiche di Montreal, autore del saggio “Lo spirito del dono”, che ha svolto una ricerca empirica su un ampio campione di famiglie, per verificare le dinamiche dello scambio del dono al loro interno. Partendo dall’analisi dei comportamenti nelle relazioni familiari, emerge una scoperta straordinaria: la famiglia è naturalmente il luogo (là dove le relazioni siano sane e non patogene) di una donazione che risponde alla logica di un’offerta che non annienta, di uno scambio non sottomesso alla quantificazione. L’autore, si badi bene, non è partito da una preconcetta ipotesi morale; ha semplicemente verificato la qualità di comportamenti familiari normali, mostrando che la famiglia è la naturale risorsa di relazioni non segnate dalla misura dello scambio alla pari, come dimostra la capacità del perdono, che è -etimologicamente- ripetizione del dono nella quotidianità, capacità di suscitare un patto sempre nuovo tra le persone e le generazioni, andando ben oltre la logica del dare-avere.