Confessione individuale
Fuori del Coro | n. 19-2002
La tempesta dei preti pedofili abbattutasi sulla Chiesa le scorse settimane ha messo in ombra un importante documento pontificio dedicato alla Confessione, che costituisce un importante chiave di lettura del “genio” del Cristianesimo.
Lo scandalo delle violenze su donne e minori, prima che essere grave perchè coinvolge uomini di Chiesa, è un male in sé che mostra l’abisso di perversione cui può giungere il cuore umano, manifestando quella misteriosa realtà che solo la Chiesa ha ancora il coraggio di chiamare peccato. Il Cristianesimo evidenzia, rispetto ad altre religioni, che il male non è esito di un fatalistico disordine cosmico o di un inesorabile condizionamento psicologico, ma è conseguenza di una scelta della libertà che rifiuta la propria origine divina scegliendo un assetto delle cose così menzognero da allontanare l’io dal suo compimento. Il male è, infatti, rifiuto dell’ordine voluto da Dio, e si presenta come reale possibilità di ogni io singolare in quanto responsabile di sé stesso e delle proprie azioni. Per questo, se il peccato è del singolo, non della massa, si capisce perché il sopracitato documento pontificio riconfermi la tradizione della Confessione individuale, contro gli abusi di assoluzioni comunitarie che hanno alimentato più l’impressione di condoni generalizzati che la coscienza di un perdono rivolto alla persona.
Altra caratteristica tipica del Cristianesimo è percepire il rapporto tra il male e le sue conseguenze non come l’incombere di un destino oscuro che evoca l’ira e la condanna di Dio, bensì come occasione perché si manifesti l’impensabile movimento della misericordia divina, che misteriosamente trasforma ogni circostanza in un bene per la persona. Perciò l’io non deve essere espropriato della sua singolarità togliendogli la gioia del confessare individualmente le sue colpe: dinanzi all’omologazione e alla standardizzazione dei comportamenti (che appiattisce le differenze entro l’orizzonte del “pensiero unico”) anche il permanere della confessione individuale contribuisce a salvare l’irripetibile originalità di ciascuno!
Nondimeno, c’è da riconoscere che la cultura odierna rende difficile (se non impossibile) comprendere realmente il sacramento della Riconciliazione: il rapporto con il confessore è avvertito o come una relazione psicanalitica infarcita di inutili sensi di colpa, o come burocratica contabilità degli errori commessi, o come il superfluo passaggio attraverso la mediazione sacerdotale mentre si preferirebbe autogiustificarsi dinanzi a Dio con un semplice atto di contrizione interiore. Invece, sfidando l’accusa di inattualità, la Chiesa ripropone l’accusa individuale dei peccati al sacerdote come modalità per restituire all’uomo la sua libertà e la sua capacità di pentimento, evitando sia la riduzione del perdono a semplice sentimento di azzeramento delle colpe, sia la collettivizzazione di un’esperienza che appartiene solo al singolo.
Bisogna ringraziare la Chiesa di non aver banalizzato il peccato, in ottemperanza ad una cultura che preferisce scaricare ogni colpa sulla società, perché ciò restituisce anche al non credente il senso di piena responsabilità delle azioni, rendendo evidente che la misericordia non è un sentimento di “stare bene” perché ci si è tolti il peso psicologico dei propri errori, ma è l’incontro con Qualcuno che abbraccia la totalità della vita e non solo la sfera spirituale.
Per questo la confessione individuale nel faccia a faccia con un ministro di Dio fa comprendere il giudizio sul peccato e l’elargizione di tenerezza verso il peccatore; come insegna il Papa, severissimo verso la pedofilia, ma altrettanto fiducioso che i suoi preti siano il misterioso strumento del perdono di Dio ai peccatori pentiti.