Per fare delle vacanze buone
Fuori del Coro | n. 28-2007
Quest’anno le vacanze giungono non solo con il solito caldo, le consuete code sulle strade, il normale stress da divertimento coatto, le usuali ansie che tutto vada bene, ma anche con la seria preoccupazione che la situazione economica generale è grave e che l’autunno riserverà un’amara ripresa. È sintomatico che più di due terzi delle famiglie italiane avvertano la loro condizione come precaria se non addirittura di povertà e come realmente, al di là della percezione soggettiva, molti non riescano letteralmente a giungere alla fine del mese. In questa situazione parlare di vacanze sembra quasi un insulto alla miseria di chi non se le può permettere, anche se d’altra parte il meritato riposo è un diritto/dovere per chi ha lavorato senza mai “staccare”.
La vacanza non può però essere solo tempo di “svago” e di “divertimento” (le due parole ricordano quasi l’alienante tentativo di sfuggire alla vita e di vagare lontani dal proprio vero destino umano), né trasformarsi in “tempo vuoto” (la vacanza nel senso del vacuo, cioè ultimamente della perdita del senso dell’esistenza in uno stordimento che separa dal desiderio più vero dell’io), neppure nell’ozio inteso come un “non far nulla” perché la vita non può mai andare in ferie ma chiede semmai di ricostituirsi in una ricreazione effettiva. In fondo, infatti, ciò che si dovrebbe vivere in vacanza è quella situazione di pienezza dell’umano che è normalmente sottratta dalla fatica e dalla velocità cui la vita ci condanna nell’uggiosa ferialità. Vacanza dovrebbe essere, invece, “tempo della pienezza del godimento” non tempo del puro disimpegno, ma per essere così richiede alcune condizioni fondamentali ed un atteggiamento positivo di chi sta per iniziarla, pena la delusione di riprendere il lavoro più tristi e stanchi di quando lo si è interrotto. Come fare per non trasformarsi in “forzati delle vacanze”?
Anzitutto andando alla ricerca del bello, in qualsiasi forma si offra, da quello della natura (per ringraziare il Creatore di non averci abbandonato dentro una realtà brutta o ostile) a quello creato dall’uomo attraverso l’arte (perché attraverso l’ispirazione estetica del genio umano si tocca la bellezza del Mistero dell’Essere). La bellezza ha sempre una funzione purificatrice per lo spirito, paragonabile a quella dell’acqua che pulisce e rigenera il corpo, per cui va cercata come trasfigurazione della banalità e come invito ad una profondità sconosciuta. E il Bello può essere trovato dappertutto, basta rendere limpido lo sguardo, anche e soprattutto nel volto di chi ci sta accanto e di cui normalmente nemmeno ci accorgiamo.
E qui veniamo alla seconda risorsa della vacanza: la cura dei rapporti e delle relazioni, cioè il gusto del dare tempo per stare insieme ai propri cari e agli amici. Che bello poter parlare con l’altro, potendolo anche ascoltare gratuitamente senza la preoccupazione di ricavarne subito un vantaggio immediato! È il gusto del dialogo come via per raccontarsi e lasciarsi amare, dell’amicizia che condivide un’esperienza senza la preoccupazione dell’utile, dell’affetto sincero di chi mette in comune il destino profondo della vita. Per questo la vacanza è soprattutto il tempo della famiglia e non della fuga da moglie e figli.
Ma allora le ferie sono un’occupazione? Credo di sì! Anzi, la più nobile delle occupazioni, perché ci si dedica al meglio di sé nel rapporto con la realtà e nella relazione con gli altri, trasformando il tempo liberato dal lavoro in occasione di raccoglimento nell’ascolto dell’Altro che misteriosamente ci abita. Perciò le vacanze sono il tempo più “religioso” che ci sia, perché sono il luogo in cui ci si può interessare di quel Tu di Dio che normalmente è lontano dalle normali giornate.