Fidarsi è bene
Fuori del Coro | n. 03-2008
Di chi si fidano gli Italiani? Stando ad un recente sondaggio pare quasi di nessuno. Si salvano forse le forze dell’ordine, soprattutto i Carabinieri (in quanto danno l’immagine di proteggere il cittadino e di accompagnarlo con il tratto umano descritto in certe fiction); un po’ di fiducia l’hanno ancora i magistrati e la Chiesa (anche se in diminuzione); mentre il Governo e la politica cadono a picco nella considerazione degli Italiani perché appaiono realtà inaffidabili cui non si può dare credito perché troppo volubili ed instabili e troppo legati ad interessi particolari. Ma cosa significa questa radicale crisi di fiducia?
Anzitutto va detto che ognuno ha bisogno di qualcuno di cui potersi fidare, o meglio cui poter affidare se stesso, i propri desideri, i propri progetti ed aspettative, anche perché nessuno si può realizzare da solo e nessuno può vivere al di fuori di una relazione fiduciaria. Pensiamo al rapporto tra un uomo ed una donna che si amino o alla relazione educativa tra genitori e figli, in cui un ragazzo non penserebbe mai che suo padre lo possa ingannare: la fiducia, la fede o meglio la fedeltà reciproca, è il dato più originario e ragionevole. Ma poi il cerchio si allarga e la fiducia comincia ad essere delusa e a venir meno soprattutto quando si parla non di persone reali ma di istituzioni. La corruzione pare pervadere anche le istituzioni un tempo considerate più sacre, dal momento che spesso tali istituzioni sono usate per scopi personali, per fini estranei alla loro finalità originaria (come la politica che da arte del bene comune si trasforma in ricettacolo della corruzione personale o di gruppo). Nasce così il meccanismo del sospetto e della sfiducia che mina alla radice la positività del rapporto con le istituzioni (che iniziano ad essere viste come nemiche, pericolose, pronte solo ad annientare l’individuo). Ma quanto più il “pubblico” spaventa, tanto più ci si rifugia nel privato.
L’esito è la perdita del senso di appartenenza ad un popolo unito da un destino e da una storia, con la conseguente perdita di identità e l’instaurarsi di una pericolosa anomia, che determina estraneità e conflittualità. È l’attuale situazione italiana in cui sembra che non ci si intenda più su nulla.
Per essere critici, occorre però trovare una qualche misura alternativa che può essere solo nel recupero del senso della Ragione, nell’accezione con cui la intende ad esempio Benedetto XVI quando parla di “tensione alla Verità” e non semplicemente di calcolo delle circostanze o dei fattori. La verità non è, infatti, riducibile ad interessi parziali ma è l’orizzonte di totale apertura all’Essere in ogni sua dimensione, e non è semplice conoscenza di concetti ma consapevolezza del Bene totale dell’uomo. Verità è, in sintesi, ciò che rende felice l’uomo perché lo colloca al posto giusto nell’universo di tutto ciò che esiste.
Viviamo invece purtroppo sempre avvolti nella paura dell’ignoto, nell’incertezza degli esiti, nella solitudine dinanzi al destino, perché la fiducia sembra non poter essere concessa a nessuno: eppure la vita chiede fiducia, domanda di potersi affidare in ogni istante ad un Altro. Ed è per questo che la gente è corsa domenica a salutare il Papa perché ha visto in lui non uno che pretende di sapere tutto e di insegnare a tutti, ma solo perché rappresenta Qualcuno di cui lui stesso si fida sopra ogni umana speranza o attesa. E questo ha generato un popolo pacifico e gioioso, non rissoso o risentito, un popolo che sa cosa è giusto sperare perché sa di chi si può fidare. E la fiducia bisogna guadagnarsela sul campo, seguendo personalità che incarnano ciò che dicono e dicono ciò che è vero, esattamente come avviene in natura quando un figlio si fida totalmente di suo padre.