Abbattere i muri
Fuori del Coro | n. 41-2004
Quindici anni fa crollava il Muro di Berlino e con esso simbolicamente finiva un sistema politico che aveva fatto dell’ateismo il suo fondamento ideologico: dopo anni di negazione del valore della Trascendenza, era quasi come se Dio volesse prendere la sua rivincita tornando a parlare pubblicamente anche nelle società ex-comuniste, tramite la presenza e la parola di un Papa e di una Chiesa capaci di rimettere la persona al centro dell’azione politica. La religione vista come emblema dell’oscurantismo antimoderno tornava ad essere fattore della vita civile e l’Europa poteva riprendere il respiro del Mistero di Dio, finalmente liberato dalla clandestinità. Fu un momento di grande speranza e di esaltazione, anche se stava rinascendo la possibilità di un diverso oscurantismo di stampo laicista, disposto a concedere tutto a tutti, eccetto che a credenti desiderosi di far valere politicamente il peso delle loro convinzioni.
Un esempio di ciò è forse il recente “caso Buttiglione” se, come ha scritto Giuliano Ferrara, si è dato l’avvio ad una “caccia alla strega cattolica” in nome di quella secolarizzazione (accettata come dogma) che vuole escludere riferimenti etico-religiosi dalla vita pubblica. Eppure uno dei motivi dell’affermazione di Bush è stata proprio la chiarezza nel proporre temi morali forti, dando sicurezza di valori soprattutto alla parte di elettorato più fragile e confusa, a dimostrazione che la gente cerca certezze sulle questioni decisive della vita più che su formule economiche o provvedimenti amministrativi. Ciò mostra, benchè con segnali diversi, il ritorno esplicito del rapporto religione-politica nell’edificazione della “città degli uomini”, visto che le questioni ultime poste dalla religione non possono essere eluse, ed anzi influenzano decisamente il buon andamento della vita pubblica.
È vero che parallelamente sorge la paura per il fanatismo contenuto nell’integralismo islamico, ma bisogna pur mettere in discussione l’eccesso di laicizzazione dell’Occidente che esclude ogni riferimento quotidiano alla presenza di Dio, anche se non si deve mai smarrire la necessaria ed evangelica distinzione tra “ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare”. La sfida, caduti i muri ideologici, è perciò di non permettere la rinascita di steccati tra coscienza religiosa e libertà politica, perché altrimenti si toglie al credente la libertà di prendere posizione dinanzi al grande Mistero della vita alla luce della sua fede, esercitando il diritto di decidere in base a questo cosa fa la differenza nel modo di fare politica e di governare.
È chiaro, infatti, che se la politica manca di un’adeguata concezione dell’uomo si trasforma in dispotismo, impoverendo l’esperienza della libertà, di cui il bisogno di Dio è un fattore inestirpabile che fonda tra l’altro le ragioni del rispetto verso il prossimo, radicandolo nella coscienza della comune ricerca di giustizia, libertà, verità, bellezza, componenti del vero senso religioso. Infatti, senza questa radice religiosa la convivenza civile può trasformarsi solo nella “guerra di tutti contro tutti”, temperata al massimo dal contrattualismo.
Il Cristianesimo difende il principio che nessuna Chiesa può sostituirsi al legittimo potere sovrano, ma non rinuncia ad essere forza propulsiva di azioni di bene dentro la comunità, ricordando che l’uomo è realtà sacra ed inviolabile e relativizzando ogni regime politico. Perciò mentre sono crollati i muri dell’ateismo conclamato, prima o poi la forza dell’esperienza religiosa ridimensionerà anche i laicismi supponenti ed anticlericali di chi vorrebbe togliere spazio pubblico alle grandi questioni esistenziali, perché il fiuto della gente non accetterà di rinunciare a ciò che dà respiro e certezza alla vita.