Al di là dell’obbligo
Fuori del Coro | n. 22-2004
L’approvazione del decreto che estende gradualmente l’obbligo della frequenza scolastica sino ai 18 anni o al conseguimento di una qualifica professionale triennale è uno dei punti qualificanti e più discussi della Riforma Moratti. Senza entrare nel merito del valore complessivo e delle criticità di tale riforma, appare interessante il cambiamento di terminologia che transita dal concetto di “obbligo scolastico” alla nozione di diritto-dovere all’istruzione; e non si tratta di questione nominalistica ma di sostanza.
Il vecchio principio dell’obbligo era nato per evitare che le famiglie sfuggissero al loro dovere, sancito dalla Costituzione, di provvedere all’istruzione dei figli ed aveva un carattere prescrittivo e sanzionatorio: nessuno doveva sfuggire alla scuola (e ciò era tanto più giustificato per battere l’analfabetismo), ma l’obbligo favoriva un atteggiamento psicologicamente negativo verso l’istituzione in chi di studiare proprio non aveva voglia. Andare a scuola solo perché si è obbligati, o perché altrimenti vengono i carabinieri a prendere il figlio a casa, è un’esasperazione del compito dello Stato di fornire un servizio di pubblica utilità, servizio che soprattutto nei primi decenni dell’Italia unita venne sentito come estraneo (o addirittura nemico) da interi strati di una popolazione impegnata spesso ad evitare l’obbligo scolastico con la stessa avversione con cui si sfuggiva la leva militare o il pagamento delle tasse. Certamente, in anni più recenti, si è scoperta la funzione socializzante ed emancipativa dell’istruzione, ma la permanenza della norma dell’obbligo lasciava, pedagogicamente, un non-senso perché l’apprendimento chiede, per definizione, la libertà del discente e la sua consapevolezza che imparare serve anzitutto a lui e non ad un’istituzione.
Oggi la dizione diritto-dovere costituisce un salto di qualità perché sottolinea che l’istruzione è un diritto da garantire a tutti, indipendentemente dal reddito e persino dalle capacità, sino ad una età che consenta il compimento di un itinerario coerente di studi che possa condurre ciascuno ad una certificazione di competenze acquisite e ad un’insieme di conoscenze fondamentali, indispensabili per l’accesso alla vita adulta e all’esperienza lavorativa. Diritto richiama alla libertà di fruire di qualcosa che appartiene all’uomo e al cittadino, ed evoca una posizione aperta e creativa, non passivamente subalterna ad un’imposizione esterna; per cui, anche se i piccoli studenti non coglieranno subito la novità e continueranno a sentire la scuola solo come un dovere, nella coscienza degli adulti dovrebbe essere amplificata la percezione che l’educazione e l’istruzione sono beni che lo Stato deve corrispondere con il massimo delle sue risorse.
L’altra faccia del diritto è, però, il dovere, dello Stato di offrire il meglio alla scuola (soprattutto in termini di libertà educativa della famiglia), e dei genitori di accompagnare i figli nella loro avventura formativa lungo un arco più ampio di anni che la riforma Moratti assicura sia per adeguare gli standard europei sia per dare una base di conoscenze e competenze più adeguate. Ciò fa riscoprire la peculiarità tipica del sistema scolastico di rivolgersi a persone per curarne la crescita perché questo è il bene più prezioso che una società possegga.
L’investimento nel capitale umano è prima etico che giuridico e passa per la sollecitazione della libertà; per cui, anche se continuerà l’obbligo di vigilare per evitare la dispersione e la mortalità scolastica precoce, è importante far leva sulla dinamica diritto-dovere perché rimette in campo la persona e la dimensione educativa come assi portanti della futura scuola.