Alla fine di un millennio
Fuori del Coro | n. 52-2000
Siamo alla fine di un millennio che sta per chiudersi e il prossimo 31 dicembre sarà il vero spartiacque verso il XXI secolo; così è quasi inevitabile accennare a qualche bilancio non solo della vita personale ma anche della storia. Le inquietudini sono molte, e se intorno all’anno Mille si trattava di far rinascere una nuova civiltà, anche alla fine del secondo millennio cristiano si ha l’impressione che la posta in gioco sia l’inizio di una nuova civiltà, visto che a fronte di tanti progressi dell’umanità sono anche tante le minacce che incombono. Il XX è stato un secolo di immani tragedie, le cui conseguenze giungono sino all’oggi: pensiamo alla precarietà della pace e dell’equilibrio mondiale, o alle minacce di uno sviluppo che stravolge l’ambiente naturale. Ma forse il fenomeno più rilevante che si spalanca è quello della globalizzazione e dell’incontro tra popoli e culture diverse. Proprio su questo le inquietudini e gli equivoci si sono moltiplicati nelle ultime settimane: è possibile un vero incontro ed un costruttivo dialogo tra culture e religioni diverse? Da dove nascono l’intolleranza e la xenofobia? Cosa significa realmente accoglienza e rispetto del diverso? Quali diritti hanno le nazioni di salvaguardare adeguatamente la propria identità prevalente?
Le questioni sono complesse, poiché se da un lato si va verso una mondializzazione dell’economia (sostenuta da una rete di comunicazione planetaria tramite Internet), dall’altro l’esigenza di salvaguardare le differenze e di evitare pericolose omologazioni è grande, soprattutto dinanzi al rischio del prevalere del più forte sul più debole. Da dove partire allora per instaurare un dialogo tra diversi? Da dove ricostruire un percorso di civiltà che favorisca nel Duemila qualcosa di simile alla cosiddetta rinascita dopo il Mille?
La risposta più plausibile è di partire da un dialogo sugli elementi essenziali che costituiscono la coscienza degli uomini e dei popoli, cioè di ripartire dal dialogo tra le culture. La cultura è l’espressione con cui i singoli e i popoli leggono il senso dell’esistenza e della storia, ed è quindi la ricerca della verità secondo i mezzi concettuali e linguistici che un popolo riesce a mettere a punto. Così il dialogo è il momento più alto della comunicazione tra gli uomini perché mette al centro la ricerca della verità e del significato del destino stesso dell’umanità. Perciò, pur nelle differenti sensibilità e modalità espressive, se si mette a tema il confronto e il dialogo tra le culture, si pone al centro l’elemento comune tipico della ragione umana, che è la tensione alla verità, da cui consegue la dimensione etica della ricerca di un bene valido per tutti gli uomini.
Perciò è doveroso evitare la confusione tra le culture, e al contempo garantire il loro incontro nella prospettiva di cercare ciò che accomuna piuttosto che ciò che divide, con l’attenzione, però, di non mettere tra parentesi la tradizione da cui si proviene o i valori in cui si è nati. L’equivoco ricorrente è, infatti, pensare che il dialogo funzioni solo mettendo in ombra i propri punti di partenza (quella che normalmente si definisce l’identità), mentre la prospettiva della verità chiede di prendere coscienza di quanto è già dato per confrontarlo liberamente con altre proposte. La verità non è proprietà di nessuno, ma è il fine cui tutta l’umana avventura tende; perciò è troppo importante al termine di un secolo e di un millennio riproporne seriamente la ricerca, costi quel che costi, anche se ciò comportasse la perdita di qualche privilegio o di comodità acquisite. Una nuova civiltà non può, infatti, nascere, sul relativismo o sul nichilismo: per questo il coraggio della verità è la sfida più affascinante che abbiamo davanti.