Dignità del lavoro
Fuori del Coro | n. 18-2002
Nell’attuale dibattito sul lavoro manca un fattore fondamentale: al di là delle arroventate dispute sull’art.18, ben poco si sente parlare del lavoratore e della sua dignità, ed ancor meno si riflette su come introdurre i giovani nell’arena del lavoro in modo significativo per la loro umana realizzazione.
Il lavoro non è, infatti, solo un diritto da difendere solennemente, ma è la prima modalità con cui la persona partecipa alla trasformazione della realtà e alla costruzione della propria identità individuale. Con il lavoro l’uomo tende a realizzare le sue potenzialità, si sforza di plasmare le cose secondo un progetto buono, e al tempo stesso cerca una personale gratificazione nel partecipare in certo qual modo al gesto creativo con cui Dio fa essere la realtà perché sia adeguata dimora dell’io. Dunque il lavoro, lungi dall’essere questione solo economico-amministrativa, diventa l’aspetto forse più nobile (insieme alla dimensione affettivo-relazionale) dell’agire, ponendosi anche come il centro della questione sociale. Perciò, pensando alla Festa del lavoro, vale la pena di ricordare la centralità del tema della dignità del lavoratore, ricordandola soprattutto ai giovani che iniziano o sono in cerca di lavoro.
Ma come può un giovane trovare questa dimensione di valore, se tutto gli è presentato solo nei termini di sicurezza del posto, di garanzie sindacali, di vertenze contrattuali (cose beninteso importanti ma seconde rispetto ad una vera “cultura del lavoro”)? Cosa cerca oggi un giovane alla sua prima esperienza lavorativa se non l’inizio di un cammino buono che permetta di sperimentare la propria personale utilità rispetto ad un fine che non sia solo di tipo economico? Tanti giovani con trepidazione si affacciano al mercato del lavoro cercando di diventare adulti, sforzandosi di imparare un mestiere, lasciandosi alle spalle i piccoli sotterfugi o le furbizie imparate sui banchi di scuola, impegnati a scoprire la ricchezza di risorse che nemmeno sapevano di possedere: è l’inizio di un’avventura in cui si fondono fatica, soddisfazioni, contraddizioni ed umiliazioni, gratificazioni economiche ed incertezze sul futuro, con lo scopo che il lavoro apra alla scoperta di sé e del mondo, fornendo lo svolgimento di un impegno che durerà tutta la vita (anche oltre il traguardo della sempre più improbabile pensione), scandendo il tempo di una speranza di successo per le proprie fatiche.
Perché ciò possa realizzarsi occorrono però virtù umane e morali come la pazienza, la fortezza, la temperanza, l’onestà e la giustizia, la prudenza, la resistenza, la costanza; tutte qualità che appartengono all’uomo adulto, chiamato a dare sempre il meglio di sé non solo per la riuscita dell’impresa economica ma soprattutto per dare spessore e dignità alla propria esistenza. Ed è questo impegno a rendere il lavoro anche sorgente ed occasione di una socialità fatta di comunicazione e di rapporti significativi con colleghi, clienti, concorrenti.
Ma da chi imparerà un giovane questa prospettiva, se non da lavoratori adulti che testimonino la dignità del lavoro e trasmettano il fascino del lavorare, qualunque sia l’ambito di attività svolta o la condizione concreta? Si tratta di accompagnare le nuove generazioni ad affrontare le inedite sfide del sistema produttivo con la fiducia che lavorare è un valore altamente positivo, anche se non tutto può essere garantito a priori e permangono rischi che non potranno essere eliminati dalle rivendicazioni sindacali.
Per questo rivolgo un pensiero affettuoso a chi è in cerca di occupazione o è al primo impiego, per augurare che le difficoltà non spengano l’entusiasmo dell’inizio, ma anzi aiutino (insieme alle prime soddisfazioni) a condurre a compimento le proprie aspirazioni.