Dinanzi al Mistero
Fuori del Coro | n. 26-2000
Ci sono delle coincidenze di valore simbolico che riescono a far riflettere su punti nevralgici dell’esperienza. È accaduto nei giorni scorsi in concomitanza di due notizie diverse ma parimenti significative: l’annuncio di nuovi risultati del progetto Genoma circa la mappatura del codice genetico individuale, e la conferenza stampa del Card. Ratzinger per la solenne pubblicazione del testo del segreto di Fatima.
Ciò che accomuna i due eventi è la parola Mistero: da un lato sembra che la scienza sia molto vicina a toccare il mistero ultimo della vita umana (“stiamo imparando il linguaggio usato da Dio nel creare la vita” ha detto il Presidente Clinton), dall’altro la Chiesa ha aperto uno squarcio di lettura inedita della storia del XX secolo tramite la testimonianza della veggente di Fatima, indicandone il senso nell’incontro drammatico tra la libertà dell’uomo e la potenza di Dio. Da un lato l’uomo sta giungendo dunque sin sulla soglia del mistero della vita nel suo nascere e nel dispiegarsi delle coordinate biologiche che la determineranno nel tempo, dall’altro è chiamato a misurarsi con la profondità del significato ultimo della storia che può assumere toni diversi ed imprevedibili, come ha detto il Card. Ratzinger parlando della preghiera e della penitenza come forze capaci di mutare il corso degli eventi.
Ma la parola mistero non va intesa nel senso di un enigma di impossibile soluzione: mistero (mysterion in greco) sta ad indicare il segno, cioè qualcosa che rimanda ad una profondità ulteriore rispetto a quanto si percepisce o si conosce: così la scoperta della struttura genetica della persona è solo un segno di quello che è il destino imprevedibile (e perciò misterioso) della persona, ma non può esaurire la sfida della libertà dinanzi alle circostanze, né pretendere di stabilire la durata della vita in un’esaltata speranza di immortalità. Altrettanto il messaggio di Fatima (assolutamente deludente per chi attendeva la rivelazione del futuro, magari in termini apocalittici e catastrofici) è solo l’indice di qualcosa di più profondo: il mistero della libertà umana, che nemmeno la potenza di Dio può costringere e che può, guidata dalla Provvidenza, cambiare la storia.
Mistero significa dunque che l’uomo, ogni uomo nella sua irripetibilità, è fatto di una profondità insondabile che rimanda alla sua vera origine divina (“a immagine e somiglianza di Dio”), sempre indisponibile alla pretesa di calcolare e prevedere tutto, e al tempo stesso in continua lotta contro la possibilità del male.
Di questi tempi sembra però riemergere soprattutto il mysterium iniquitatis, cioè il mistero dell’iniquità e del male di cui l’uomo è capace contro la sua stessa vita, come è apparso da alcune notizie recenti: la proposta dell’eutanasia come rimedio alla sofferenza e al dolore, l’acutizzarsi della barbarie della pena di morte usta per fare giustizia, la distorsione della fecondazione artificiale che espropria la natura della sua originalità. Ma sono solo alcuni esempi di una violenza che vorrebbe scardinare il mistero dell’essere, evacuandolo di quella domanda che contiene in sé, per dominare totalmente il destino dell’uomo separandolo dalla relazione con il Dio vivente Signore della storia.
Diceva Sofocle “ci sono molte cose misteriose, ma la cosa più misteriosa è l’uomo”, e qualcuno traduce “ci sono molte cose che incutono paura, ma la più paurosa di tutte è l’uomo”. Oggi siamo al bivio: o andare al fondo dell’io per scoprire il volto amico del Mistero del Dio Creatore, oppure restare prigionieri dell’abisso di male di cui l’uomo è capace quando pretende di incasellare tutto in schemi logici o pratici. In altri termini, o ci si apre con fiducia al Mistero sentendolo come amico, oppure si rimane schiavi della paura dell’ignoto.