Educazione a scuola
Fuori del Coro | n. 18-1996
Il programma del prossimo governo dovrebbe avere al centro delle sue priorità la scuola e il sistema formativo, e questo è certamente un fatto positivo: non è retorica affermare che la scuola è il punto nevralgico della crescita civile di un popolo, in quanto costituisce la più strutturata occasione di maturazione delle nuove generazioni all’interno di un sistema integrato che accoglie il fanciullo a sei anni e lo accompagna sino alle soglie della vita adulta. Una grande occasione di crescita culturale ed umana che non è lecito sprecare e su cui le famiglie hanno una sempre maggiore aspettativa soprattutto in termini di qualità.
Anche il recente caso del ragazzo undicenne sospeso per un giorno per aver insultato una compagna di colore, assurto alla gloria della cronaca di quotidiani e televisione, richiama alla attesa di educazione che l’opinione pubblica riversa sull’istituzione scolastica. Forse prevedendo una certa risonanza della cosa, il Preside ha precisato che si è voluto applicare un provvedimento esemplare, anche per sottolineare che al termine di un lavoro interdisciplinare sulla società multietnica e sulla necessità di collaborazione tra persone di razze diverse, non si poteva lasciar passare sotto silenzio un’ingiuria, che per un ragazzo è forse solo un’intemperanza verbale assimilata dal linguaggio degli adulti, ma che è stata avvertita come un’offesa alla dignità della scuola come tale. La forte valenza educativa che si è voluto dare all’episodio, indipendentemente dal giudizio sulla congruità della conseguente punizione, induce però a riflettere più a fondo sul senso della vita scolastica e sulla sua identità.
Cosa significa infatti educare? Non solo trasmettere asetticamente dei valori o comunicare delle prescrizioni morali come modello di comportamento: la logica della scuola non può essere quella del semplice scambio di nozioni su cui verificare l’apprendimento e nemmeno quella dell’imposizione di atteggiamenti che godano del consenso della maggioranza. Se la scuola vuole essere autenticamente educativa deve offrire al giovane una visione delle cose che lui stesso possa verificare strada facendo, e su cui possa fare delle scelte. Al mito della neutralità dell’istruzione non crede ormai più nessuno, perché nel momento stesso in cui l’insegnante di Italiano legge una poesia di Leopardi fa trasparire il suo personale impegno con la vita nella ricerca del significato; così come nella suggestione con cui il professore di Storia propone un fatto, emerge la personale lettura del senso complessivo degli eventi.
Ciò significa che la scuola è educativa in quanto fatta da adulti che propongono delle ipotesi interpretative del reale e che per questo devono mettersi realmente in ascolto della famiglia, che del compito educativo è la prima e naturale depositaria. Perciò è vitale per il futuro del sistema scolastico affrontare la questione della scuola libera e della libertà di educazione (e si badi bene non solo nell’ottica della scuola cattolica), per consentire ai genitori di poter scegliere a chi affidare l’educazione dei figli, senza essere costretti ad accettare a scatola chiusa progetti didattici magari tecnicamente perfetti ma impersonali. Non si tratta di chiedere privilegi, ma solo di riconoscere che c’è un altro modo di concepire la scuola: non un sistema centralizzato di trasmissione di programmi, ma l’esperienza di una formazione che parta da un senso riconosciuto per la vita e verificato sui contenuti disciplinari. Solo in questa prospettiva si possono affrontare con la necessaria delicatezza episodi come quello di un ragazzo che forse non voleva fare del razzismo, ma che certo ha bisogno di capire le ragioni per cui deve alla sua compagna di colore lo stesso rispetto dovuto ad ogni altro.