Festival della cultura
Fuori del Coro | n. 25-2005
Si moltiplicano in queste settimane i festival della cultura e le manifestazioni di arte, politica, religione, filosofia, letteratura che sembrano mostrare una straordinaria vitalità di città di provincia piccole e grandi, desiderose di offrire opportunità di incontri culturali di livello all’interno dei propri tessuti urbani. È un fenomeno che non indica solo il desiderio di uscire dal proprio provinciale individualismo, ma anche un genuino gusto per l’ascolto e il dibattito che coinvolge soprattutto i giovani e non solo gli intellettuali o gli specialisti. Anzi, la cultura diventa un business, che mecenati accorti e lungimiranti assecondano, perché coglie un bisogno del pubblico ed attira l’interesse dei media. Se a ciò aggiungiamo l’enorme successo delle pubblicazioni anche di prestigio, offerte a prezzi popolari insieme a quotidiani e riviste, verrebbe quasi da pensare al sorgere di un nuovo Rinascimento culturale capace di trascinare l’Italia fuori dall’attuale grigiore.
Forse non è tutto oro quel che luccica, e certo occorre distinguere la qualità delle offerte, non assimilando le chiacchiere da salotto alle provocazioni culturali autentiche, ma è indubbio che una domanda di cultura sta rinascendo, ben al di là della superficialità banale delle mode: i giovani tornano ad esempio a leggere i classici perché ripropongono le eterne questioni della vita, hanno successo i cicli di letture dantesche, si vendono bene le collane di saggi storici, quasi ad indicare che nel passato è possibile trovare risposte all’immediatezza muta dell’oggi. Tutto ciò mostra che l’uomo (unico tra le creature) è “animale culturale”, cioè soggetto capace di produrre un orizzonte simbolico di interpretazione complessiva della realtà.
Più precisamente si deve dire che la cultura è la condivisa coscienza critica e sistematica del mondo nel suo significato ultimo, per cui c’è da chiedersi quale sia la radice di quest’interpretazione da cui nasce l’ethos, la visione dell’universo, la modalità stessa dei rapporti interpersonali, visto che la cultura non nasce a tavolino da qualche geniale intellettuale organico che si assume il compito di pensare e parlare a nome di tutti. Infatti, la cultura non è un sistema astratto di concetti o valori, bensì il frutto di un’esperienza, l’esito di un’appartenenza ad eventi e circostanze che spiegano il destino comune di un popolo, che riscoprendo una radice comune esprime la propria identità collettiva. Perciò ogni cultura ha i suoi classici e i suoi maestri, crea i suoi modelli archetipi, è gelosa dei propri eroi, si riconosce in riti originari che fungono da fattori di coesione e di riconoscimento, cessando di essere un pacchetto di concetti per diventare un orizzonte interpretativo, un linguaggio simbolico in cui tutte le generazioni trovano la fonte per diventare protagonisti del presente e del futuro. Perciò la cultura è il primo bene per esistere ed avere un volto.
Spiego allora così la curiosità per queste manifestazioni e festival culturali di piazza: sono un’occasione per ritrovare chi si è e da dove si viene, ritrovando il gusto di parlarsi, di leggere, di dibattere liberamente, di confrontarsi senza schemi prefissati e senza la preoccupazione di risultati preconfezionati, dal momento che la condizione prima della cultura è la libertà di essere e di pensare. È un modo di cercare spazi liberi e creativi fuori della piazza mediatica per vivere la piazza come moderna agorà in cui cercare insieme la verità, la bellezza, il bene. Forse c’è il rischio di semplificare, di banalizzare le questioni, ma tutte queste iniziative indicano il desiderio di un dibattito libero, di spazi in cui riguardarsi in faccia e fare un’esperienza di incontro. E ciò può fare solo bene.