Giovani e Cristianesimo
Fuori del Coro | n. 34-1997
Il viaggio del Papa a Parigi per la Giornata internazionale della Gioventù ha suscitato consenso pressoché unanime: persino la laicissima Francia – si è detto – ha dovuto ridimensionare il suo illuministico anticlericalismo e fermarsi ammirata davanti al carisma del vecchio Papa, riconoscendo che il suo messaggio è l’unico in grado di offrire una svolta decisiva alla difficile condizione giovanile. Qualcuno ha voluto sottolineare la distanza tra la chiarezza della proposta e la ricezione della fede nella nostra società secolarizzata, ma tutti sono rimasti colpiti dalla paradossale intesa che si è realizzata tra la sofferta e drammatica vecchiaia di Wojtyla e l’impeto della giovinezza delle centinaia di migliaia di teen agers che, con il loro entusiasmo e la freschezza della loro spontaneità, hanno offerto lo spettacolo di un popolo ben diverso da quello descritto dagli studi sulla condizione giovanile. Comunque sia, Parigi è stato l’evento di una novità che interroga tutti, poiché è stata l’offerta di una speranza alle nuove generazioni deluse dallo scetticismo degli adulti e dai miti della ricchezza, del benessere, del potere, del sesso.
Ma come è potuto accadere? Sarebbe riduttivo archiviare le giornate parigine come l’esito di un sentimentalistico incontro tra le esigenze dei giovani e l’indubbia leadership naturale del Papa. La spiegazione vera del “miracolo” di Parigi è da ricercare invece nello sviluppo del titolo di questa Giornata della Gioventù: “maestro dove abiti? Venite e vedete”, perché un giovane può essere realmente “mosso” solo dall’incontro con un Maestro che faccia leva sulle energie migliori della sua umanità.
La giovinezza è l’età dell’indomita ricerca della verità che spiega la vita, del senso del destino, della voglia di imitazione di modelli esemplari; perciò nulla è più adeguato al bisogno giovanile (che in questo senso coincide con l’esigenza dell’uomo come tale) che trovare la dimora dove abita chi può dare parole e ragioni per vivere degnamente l’avventura dell’esistenza. Il Papa ha risposto proprio a questo: non ha fatta tanto leva su valori alti e nobili, ma ha dato nome e cognome al Maestro da seguire, indicando come e dove incontrarlo, perché il Cristianesimo è la sequela di una persona precisa, di un uomo che ha volto, cuore, parole che meritano un’immedesimazione totale.
La proposta è stata per questo rivolta alla coscienza di ogni singolo, indicando nella Chiesa il popolo in cui abita la presenza di Cristo nel tempo e nella storia; una proposta che trova nella figura stessa del Papa l’esempio convincente che seguire Cristo, senza reticenza e senza riduzioni, dà vigore alla vita ed energia per giudicare ogni fattore della vicenda umana, sino al riconoscimento degli errori del passato e alla libertà di chiedere perdono.
La chiave di lettura dell’evento di Parigi si sposta allora dalla valutazione sul successo dell’iniziativa alla questione decisiva del dare nome al desiderio di infinito che abita il cuore umano, secondo la concretezza di indicare anche una dimora in cui trovi soddisfazione il naturale bisogno di aggregazione senza scadere in un conformistico gregarismo.
Rivolgendosi all’io di ognuno il Papa ha dato una risposta chiara al bisogno di tutti: vivere il Cristianesimo senza riduzioni, senza sconti, senza riserve mentali, senza ritagliare spazi per scegliere ciò che piace e rifiutare ciò che richiede impegno e forse eroismo. Non si può essere cristiani a metà, e i giovani sono i primi ad accettarlo, perché non amano le sfumature, i compromessi, le mezze misure.
Per questo i giovani di Parigi entrano nella storia come gente che ha visto nella fermezza grande e drammatica di Giovanni Paolo II il segno di una fede interessante per la vita, gente che accetta la sfida impossibile del perdono che nasce dall’essere accolti da una misericordia infinita.