Gli angeli di San Giuliano
Fuori del Coro | n. 42-2002
Li hanno chiamati gli “angeli” di San Giuliano, con una tenerissima espressione che evoca il mistero di una morte innocente e la speranza di una presenza che prosegue anche oltre la vista sensibile, ma il dolore è acuto e continua a percuotere tutta l’Italia. Tuttavia, non sarebbe appropriato parlare di “strage degli innocenti”, come se la questione fosse solo di accertare le eventuali responsabilità di inadempienza o imperizia, perché l’evento nella sua tragicità rimane anzitutto un potente richiamo ad interrogarsi sul senso stesso dell’esistenza. Qualcuno si è chiesto dove fosse Dio nel momento del terremoto, quasi per cercare una spiegazione trascendente ad un fenomeno che è in sé puramente fisico, ma dinanzi allo strazio di una comunità annichilita che chiede solo silenzio, nessuno può sfuggire al compito di trovare uno spunto di riflessione personale, anche per evitare di “archiviare” troppo in fretta il dramma di questi giorni.
Anzitutto viene in mente il senso della fragilità umana: basta poco per interrompere il misterioso flusso della vita ed annientare un’intera generazione (in quel paese sono scomparsi tutti i nati nel 1996), spezzando in un attimo l’unità di intere famiglie; ma allo stesso tempo questa lacerazione ha fatto riscoprire la profonda solidarietà di uomini che ritrovano la comune appartenenza ad un destino ed ad una storia; perciò forse proprio la memoria di quei bimbi può ridare ragioni al futuro della gente di San Giuliano motivandola alla ricostruzione.
Colpisce anche che questa tragedia si sia consumata in una normale giornata di scuola, quasi a ricordare quanto sia ricca l’esperienza scolastica, che ha accompagnato dei bambini a vivere insieme persino il crollo del mondo su di loro. La scuola non è un parcheggio per i figli: è il luogo del loro primo incontro con la vita e della prima socializzazione, l’ambito delle amicizie più profonde e dell’affetto per quei buoni maestri che insegnano il coraggio di guardare in faccia a tutta la realtà. Particolarmente commovente è stata la dedizione di maestre disposte a perdere la vita per i propri bambini, ben oltre le mansioni richieste dal contratto degli insegnanti; donne capaci di dire la cosa giusta al momento giusto, di infondere coraggio, di rendere più lieve l’attesa dei soccorsi, di essere il tramite tra il mondo della speranza di chi era ancora vivo e la fine di chi non poteva più salvarsi. Così la scuola non è stata solo il luogo fisico della tragedia, ma si è trasformata nel cuore di una comunità che ha saputo reagire solidalmente alla crudeltà della Natura, ricreando la possibilità di nuovi legami tra le generazioni.
In terzo luogo, la fine di questi bambini è un richiamo alla vigilanza sul tempo: nessuno è padrone della propria vita, e nessuno può pensare di poter prevedere tutto, poiché il margine dell’inatteso è sempre più grande di ogni legittima e pur doverosa prevenzione. Nulla ci assicura che i nostri progetti andranno a buon esito nei tempi e nei modi voluti, ma certo rapporti belli e significativi durano nel tempo e possono dare sollievo anche nelle prove più terribili. La verità di questi rapporti è stata vissuta dai bambini trovati morti abbracciati l’un l’altro, e dagli adulti che si sono stretti in un dolore composto intorno a quella distesa di bare bianche.
Solo chi ha dimestichezza con il senso religioso riconosce il mistero di qualcosa di più grande, e può cercare di guardare con occhio positivo al futuro riuscendo a vincere la disperazione; per questo nei prossimi giorni San Giuliano non lancerà solo la sfida della ricostruzione materiale, ma diventerà l’icona vivente della sofferenza che fa memoria dei “suoi angeli” per ritrovare il gusto della vita anche al di là delle macerie.