Il cuore della cultura secondo Benedetto
Fuori del Coro | n. 33-2008
È singolare e quasi provocatorio che proprio dalla laicissima Francia, patria del razionalismo cartesiano, dell’Illuminismo anticlericale, del Positivismo scientista di Comte, sia giunto un richiamo di enorme spessore sui fondamenti religiosi della cultura europea e, di più, sull’atteggiamento culturale tout court. Lo ha fatto Benedetto XVI a Parigi, scegliendo come tribuna non l’UNESCO come aveva fatto Giovanni Paolo II nel suo celebre intervento del 1980, ma l’antico monastero des Bernardins voluto come luogo di incontro tra cultura laica e cultura cattolica dal Card. Lustiger. Ed è interessante che il Papa abbia scelto di parlare ad una schiera di intellettuali di varia estrazione e competenza non muovendo le mosse dalla situazione attuale o dai problemi filosofici più discussi, ma da una (come sempre) dotta lezione accademica sul metodo monastico di fare cultura.
Il punto da cui partivano i monaci non era l’analisi di teorie o l’approccio a problemi ideologici, non era la discussione delle opinioni presenti nel supermercato delle idee, ma la “ricerca” di Dio (il Quaerere Deum) per cui “nella confusione dei tempi in cui nulla sembrava resistere” essi scelsero la cosa essenziale: “impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa”. Questo cercare Dio pone la strada adeguata di un metodo orientato a passare dalle cose secondarie alle cose essenziali, o in altri termini “dietro le cose provvisorie cercare il definitivo” che costituisce una delle più belle definizioni di cultura che si possano dare ed una delle migliori modalità per rendere fecondo il lavoro intellettuale.
Il metodo monastico del penetrare il significato delle parole della Scrittura per comprenderne la Verità non era, infatti, fine a se stesso, ma nasceva dalla certezza che la Verità di Dio non era un Ignoto, ma un volto rivelato che chiede solo di essere conosciuto ed approfondito nella vita. Ciò evita ogni forma di fondamentalismo religioso o l’assolutizzazione dell’arbitrio soggettivo nell’interpretare la Parola di Dio, perché pone la Ragione (Ratzinger dice il Logos) come criterio non arbitrario per leggere la Rivelazione, alla ricerca della Verità che le parole veicolano. Ma questo lavoro di comprensione implica, metodologicamente, un cammino per trascendere la concezione (così diffusa nella modernità) di una libertà come assenza di legami ed autonomia, ponendo un criterio culturale nuovo in cui l’obbedienza ad un orizzonte integrale di significato dà la chiave di lettura del particolare. Da qui nasce l’atteggiamento autenticamente filosofico di “guardare oltre le cose penultime per mettersi in ricerca di quelle ultime, vere”, che pare essere proprio ciò che è scomparso dall’orizzonte culturale contemporaneo, segnato dalla ricerca solo di risposte operative ed utilitaristiche.
La domanda su Dio viene così ricollocata dal Papa al cuore della ricerca umana, come domanda che allarga gli orizzonti della Ragione ed è posta nella certezza che se risuona nel contesto culturale, tutto potrà essere valorizzato. Oggi Dio pare essere il grande Sconosciuto (il Dio Ignoto di cui parlava San Paolo nell’areopago di Atene), ma ogni coscienza retta sa che Egli deve esistere ed anche la sua attuale apparente assenza è “tacitamente assillata dalla domanda che Lo riguarda”. Per questo nessun atteggiamento positivista che escludesse in nome della scientificità la domanda su Dio può costruire vera cultura. Anzi l’espulsione di Dio dal dibattito culturale sarebbe per il Papa la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità, il “tracollo dell’umanesimo”. E che questo sia detto nella Francia di Sarkozy, che sta parlando di “laicità positiva”, non è davvero di poco conto.