Il miracolo della gratuità
Fuori del Coro | n. 16-2009
La straordinaria crescita (sia qualitativa che quantitativa) di esperienze di volontariato è un gran bel segno di umanità: non si tratta solo di un enorme numero di persone impegnate nell’assistenza a malati, anziani, disabili, poveri, famiglie in difficoltà, disadattati, immigrati, disoccupati, ma siamo in presenza della straordinaria risorsa di uomini impegnati in nome della sola gratuità. Il fenomeno è trasversale e riguarda tutte le età (non solo pensionati che devono riempire il loro tempo), tutte le condizioni sociali (non si tratta di filantropia per ricchi che sentono quasi il rimorso della loro condizione di benestanti), tutte le convinzioni religiose e culturali (non c’è solo la carità del volontariato cattolico), quasi dimostrare che la prima mossa dell’umano non è quella di trattenere per sé come tesoro geloso le proprie risorse, ma di aprirsi all’altro. Ciò dimostra che esiste una tensione ad auto trascendere se stessi per andare incontro all’altro che è originaria e precede come atteggiamento qualsiasi forma di impegno specifico. Benedetto XVI commenterebbe che la carità nella verità “pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono”, che il cristiano spiega partendo dalla certezza che Deus caritas est, che Dio è intrinsecamente amore per sua essenza sorgiva, ma che chiunque scopre come esigenza quando si confronta con l’emergere del volto dell’altro e con l’esplodere dei suoi bisogni.
L’impegno del volontariato è infatti segnato dalla scoperta che la gratuità è il vero modo di prendersi cura della propria umanità, indirizzandola alla presa in carico del bisogno dell’altro, ma prima ancora dell’incontrarne la propria umanità segnata dal desiderio di felicità e di pienezza. Scopo del volontariato non è perciò solo pensare di risolvere con le proprie energie le tante contraddizioni di una società che emargina i deboli, ma è soprattutto andare al fondo di una risorsa che ciascuno di noi possiede in termini di tempo, capacità di relazione, energia fisica e morale, denaro, al di là di ogni moralistico o titanico tentativo di pensare di “salvare il mondo”. Ciascuno è risorsa prima che avere risorse, cioè in ognuno esiste una potenzialità di migliorare l’umano che è sorgiva, cioè non dipende da altro che dalla propria natura creata, e tale capacità chiede di esprimersi per non rimanere sterile: in fondo il volontariato è una forma di generatività, una fecondità del Bene che è presente in ogni uomo quando non è soffocata entro la logica materialistica dell’interesse banale del possesso di cose. Il volontariato esprime cioè qualcosa che appartiene ad un’economia che produce beni relazionali e non solo cose o prodotti, e così introduce una ricchezza non misurabile ma reale perché crea solidarietà, facendo sperimentare quello che in fondo tutti desidereremmo per noi: che ci sia qualcuno che si prende cura della nostra vita e che la accompagni perché non rimanga nella solitudine. E questo è il miracolo che impedisce ad una società di marcire nelle sue contrapposizioni e che vince la legge della giungla che sembra sempre prevalere su tutto.
Per questo il volontariato, anche nelle sue forme associate e strutturate, rimane una delle speranze che la vita non si esaurisca nello scambio mercantile di beni o nell’eterna dialettica di interessi contrapposti ed inconciliabili che avvelena i nostri tempi.