Il Mistero della maternità
Fuori del Coro | n. 20-2008
Non c’è nulla di più bello e tenero al mondo dello sguardo con cui una madre guarda il figlio appena nato: questa relazione amorosa svela il senso profondo della totale gratuità del venire al mondo, l’assoluta indeducibilità del figlio da previsioni o calcoli statistici, ma soprattutto l’inesauribile gioia del nascere che non dipende da meriti della madre ma solo dall’esserci del figlio. Nulla è paragonabile al mistero della maternità se si vuol comprendere la bellezza della vita, anche se il taglio del cordone ombelicale nasconde l’abissale sgomento dell’inizio di un’esistenza autonoma, in cui il distacco dal grembo materno crea l’inizio di una nuova avventura dell’io, chiamato ogni giorno a rischiare la vita e la morte senza che la madre possa far altro che accompagnarlo, magari lottando “con” lui e “per” lui nelle circostanze avverse. Nulla potrà però mai cancellare il senso di quella relazione privilegiata in cui il sorriso materno è stato fonte di accoglienza per sempre nell’umanità.
Proprio in questi giorni sono accaduti tre eventi in cui emerge la drammaticità del rapporto madre-figlio: la morte (seguita a quella della madre) del ragazzo del famoso “olio di Lorenzo”, che ha potuto vivere più del previsto grazie alla caparbietà indomita dei genitori alla ricerca di risposte oltre ogni ragionevole speranza scientifica; il caso del bimbo affetto da sindrome di Potter, ai cui genitori è stata anche temporaneamente tolta la patria potestà prima di poter dimostrare di essere disposti a tutto per la salvezza del figlio, anche a costo di terribili sacrifici; e, da ultimo, la tragedia della piccola Maria morta sul sedile dell’auto in cui la mamma l’aveva lasciata a seguito di una tremenda serie di fatalità. Tre casi, segnati dal mistero dell’ignoto, che documentano il rapporto particolare dell’essere madre impegnata nella strenua volontà di affermare e proteggere la vita dei figli.
Eppure tutto ciò che una madre “è” e fa per il figlio non è sufficiente a perpetuare il “miracolo della vita”, come il caso della piccola Maria (non certo trascurata o abbandonata, ma solo vittima di circostanze terribili) sta a dimostrare. Tutta la cura e la voglia di lottare per la salute armonica e la crescita del figlio non bastano ad assicurare la vittoria nella lotta per l’esistenza: i tempi e i ritmi stressanti della vita odierna (così poco attenta alle esigenze familiari), la fatalità di malattie o sindromi incurabili, la possibilità continua di incidenti paiono minare alla radice la speranza positiva di vita nuova che la maternità introduce nella storia umana, lasciando sempre la possibilità di tragedie inopinabili.
E qui è il centro della questione: quando nasce un bimbo non ci si può chiedere di chi è il merito, così come quando si ammala gravemente o addirittura muore non ci si può chiedere solamente di chi è la colpa. Il nascere ed il morire non dipendono, infatti, da un merito o da una colpa, ma da qualcosa che sfugge al nostro possesso, quasi a rammentare (a volte in modo duro) che i figli sono donati all’essere come una “benedizione”, ma che non diventano mai nostra “proprietà” o “mezzi” per realizzare le aspettative che abbiamo su di loro. Ogni figlio è un mistero amoroso, dato e tolto senza che la madre possa influire più di tanto sulla sua salvezza, mistero che domanda solamente di essere accolto nella sua irripetibile unicità.
In alcuni casi si lotta per il proprio figlio, in altri si può sentire il peso di non averlo curato abbastanza; ma sempre rimane (a conforto anche della mamma della piccola Maria!) il miracolo indistruttibile della maternità, per cui brilla nell’oscurità la luce di quella tenerezza che fa esistere una persona senza che alcuno possa accamparne il merito.