Il viaggio della memoria
Fuori del Coro | n. 23-1997
Ogni uomo ha bisogno in alcuni momenti della vita di ritrovare le proprie origini, le proprie radici culturali ed affettive, ed avverte che il luogo propizio per questo riconoscimento è il contatto con la sua terra, con la patria che lo ha generato. È quanto ha vissuto anche il Papa nel suo recente viaggio in Polonia che, prima di ogni valenza politica o ecclesiale, è apparso a tutti come il “viaggio della memoria”, il ritorno ai luoghi cari della sua vita. È naturale che anche il Papa desideri rivedere i luoghi in cui è nato, pregare sulla tomba dei genitori, passeggiare sui sentieri delle sue vacanze giovanili, ripercorrere le tappe dei suoi studi e della sua carriera ecclesiastica; ma soprattutto è normale che un uomo, cercando volti ed immagini della fanciullezza e della giovinezza, desideri riimmergersi nella bellezza del proprio passato. In questa prospettiva il ritorno in patria non è retorico, ma è la fonte dell’esperienza della memoria come motivo di consolazione sul presente e criterio di giudizio sul futuro. Nella patria si ritrova infatti il senso della tradizione, ossia di quell’insieme di atteggiamenti, sentimenti, valori morali che configurano l’identità stessa di una persona.
Neppure il Papa può sfuggire a questa logica, perché anche Karol Wojtyla ha un passato su cui fondare le certezze dell’oggi; anche per lui pregare sulla tomba di famiglia o celebrare nella Cappella in cui ha detto la sua prima messa significa riallacciare i fili di quel singolare destino che lo ha condotto dove non poteva immaginare. Ma la cosa più impressionante è il giudizio che muove la memoria del Papa: quello in Polonia non è stato il viaggio della nostalgia o dell’estremo saluto alle proprie radici di un vecchio che si sente prossimo alla morte. È stato qualcosa di più grande, perché gli ha permesso di ripetere al mondo, attraverso il colloquio familiare con i suoi compatrioti, il senso della sua personale missione storica: traghettare la Chiesa nel nuovo millennio (come gli aveva chiesto il Card. Wyszynski il giorno dell’elezione), ed aiutare l’umanità a costruire una nuova storia radicata nella verità e fondata sull’amore.
Così il viaggio nella memoria ha proposto anche il giudizio del Papa sull’Europa del Novecento: se il nostro è stato il secolo dei blocchi e dei muri innalzati per dividere, ora che si pensa ad un’Europa senza gli steccati ideologici o le cortine di ferro, il vecchio Papa mette in guardia dal rischio di costruire nuove muraglie che passano attraverso il cuore degli uomini, impedendo di accogliere l’altro come un fratello; ed insieme ripropone il pellegrinaggio alle radici come strada per guardare al “principio”, a quel punto sorgivo da cui si può sperare di costruire qualcosa di positivo per il futuro. Ciò vale per il Cristianesimo come evento di salvezza da riscoprire nella sua dimensione originaria, ma vale anche per qualunque fatto umano, perché la forza dell’inizio sfonda le difficoltà e dà la certezza della direzione.
Perciò il viaggio umanissimo della nostalgia e del recupero delle radici diventa un’eccezionale lezione di metodo profetico: si può progettare il futuro solo se si ha coscienza delle promesse contenute nel passato, si può guardare in avanti (anche dall’alto di 77 anni gravati dalla sofferenza fisica e dall’impegno del pontificato) solo se non si ha vergogna di radicarsi nella propria storia e nella vicenda del proprio popolo. È quanto abbiamo tutti bisogno di imparare ricordando i nostri padri ed avendo stima della tradizione, non in nome di un tradizionalismo antimodernista, ma per la coscienza di essere figli di una storia più grande delle proprie idee. Vale dunque ancor oggi il metodo che la speranza del futuro è radicata nella certezza del passato.