In nome di Dio
Fuori del Coro | n. 17-2004
In questi tormentati giorni di guerra, dolore, violenza, terrorismo è risuonata più volte la parola “Dio”, pronunciata da persone semplici come i parenti degli Italiani rapiti e ancor più autorevolmente dal Papa, in una preghiera ed invocazione all’Unico che è il significato ultimo delle cose. Nel suo appello ai terroristi Antonella Agliano ha detto “ci rivolgiamo alla vostra coscienza religiosa di credenti in un Dio chiamato diversamente dal nostro ma con molte radici in comune”, ed il Papa ha definito lo spargimento del sangue del fratello “atto disumano contrario al volere di Dio”, cancellando così ogni assurda pretesa che atti totalmente nefandi abbiano una giustificazione religiosa.
Ma che c’entra Dio con i conflitti in atto? La lezione di questi giorni mostra che nel momento dell’angoscia e del dolore supremo l’uomo invoca il nome di Dio, non per utilizzare il Mistero a giustificazione delle proprie incertezze o della propria perversione (il Papa ha perciò invitato alla solidarietà contro il terrorismo i Figli di Abramo in quanto partecipi di un’unica sorgente religiosa che esclude la violenza terroristica), ma semmai nella speranza del ripetersi dell’evento salvifico, dal momento che il nome di Dio è la prima condanna di certi atti e costituisce l’unica forza capace di allontanare il cuore dai propositi più terribili.
Ma subito all’uomo si pone la domanda “quale Dio invocare?”. Se fosse l’astratto principio impersonale che ordina l’universo (come nel teismo illuminista) non potrebbe rispondere; se fosse un immanente “spirito del mondo” di hegeliana memoria sarebbe prigioniero della sua stessa necessità; ma se si tratta del Dio di Abramo, del Dio creatore del cielo e della terra, allora l’io è posto dinanzi ad un interlocutore personale che si rivolge alla sua coscienza come un Tu presente e reale che ha senso pregare e persino chiamare in causa nelle umane vicende, nella certezza che la Storia non può essere mossa da un destino irragionevole.
Di questo Dio vale la pena parlare, poiché ha un nome ed un volto, come per gli Ebrei, i Musulmani, i Cristiani: è il Dio che crea l’universo e l’uomo, continuando ad interessarsi alla Storia attraverso l’alleanza con un popolo e tramite questo (secondo la Rivelazione cristiana) con tutti; è un Dio che non deresponsabilizza, ma che semmai si rivolge alla Ragione dell’uomo e alla sua Libertà, per ottenere risposta in termini di Verità e di Bene integrale, e che proprio per questo non può essere strattonato da una parte all’altra in interessi parziali o fanatici. Questo Dio è interessante poiché, pur rimanendo un Mistero, si rende intellegibile all’intelligenza creata, provocando la responsabilità a costruire le vicende storiche secondo un progetto buono.
Il Cristianesimo ha sviluppato nei secoli un’alleanza strettissima tra la fede e la ragione, ben consapevole che non ogni impresa umana risponde alla Volontà di Dio e al tempo stesso che Dio non c’entra con le nefandezze compiute in Suo nome; perciò nel DNA della fede cristiana è contenuto uno straordinario antidoto agli estremismi fanatici rappresentato proprio dalla ragione, cui si accompagna il balsamo della speranza che l’Onnipotenza del Dio della Misericordia possa toccare il cuore e la mente degli uomini prima che compiano il Male. È da qui che può nascere una civiltà nuova se, abbandonando la violenza irragionevole, l’uomo saprà riconoscere il vero primato di Dio senza la pretesa di sostituirsi a Lui o di surrogarLo con i propri disegni