l valore del presente
Fuori del Coro | n. 35-1995
Quest’anno il titolo del Meeting di Rimini, organizzato come di consueto da C.L, è particolarmente curioso e stimolante: “Mille anni sono come un turno di guardia nella notte”. La frase, tratta dal salmo 89 della Bibbia, sembra suggerire innanzitutto la brevità e la fugacità del tempo, il suo incalzare inesorabile e il suo trascorrere così rapido da bruciare la vita quasi come in un lampo. Il senso di questo rapido passare del tempo coincide con la sensazione un po’ malinconica del ritorno dalle ferie: la ripresa del lavoro fa pensare al tempo troppo breve del riposo, poiché si vorrebbe che il momento bello della distensione non passasse mai. Eppure il passato è passato, ed è impossibile ripeterlo. Solo il presente può essere vissuto.
Ma, a ben guardare, la frase del salmo dice anche che ogni istante del tempo contiene in sé un significato così definitivo da rendere il presente decisivo come mille anni di storia. Infatti sarebbe impossibile avere memoria del passato o progettare la direzione del futuro senza una precisa coscienza del presente; ma il presente non è tanto quello che accade “adesso”, bensì ciò che nell’istante si presenta come capace di operare nell’esistenza. È realmente presente solo ciò che dice qualcosa alla vita e la rende degna di essere vissuta, in quanto ha su di essa una forza propositiva di cambiamento. Per questo occorre sfuggire sia la nostalgia inutile di qualcosa che non c’è più, sia l’utopia sterile di qualcosa che si immagina come totalmente diversa dall’oggi.
Lo diceva già Pascal “Noi non ci atteniamo mai al presente. Anticipiamo l’avvenire come troppo lento a giungere, quasi per affrettarne il corso; oppure ci ricordiamo il passato, per fermarlo come troppo fugace; così imprudenti che vaghiamo nei tempi che non sono nostri e non pensiamo al solo che realmente ci appartiene, e talmente vani che pensiamo a quelli che non sono e fuggiamo sconsideratamente il solo che esiste”. La tentazione di ridurre la vita ad un sogno o ad un’idea è forte. Tutti più o meno cercano di sfuggire il presente; la quotidianità ha sempre una monotonia insopportabile che spinge a cercare l’evasione in un mondo che è stato o potrà essere.
Ma che cos’è veramente il presente? È innanzitutto un avvenimento, qualcosa che accade imprevisto nella vita. Il presente non è dunque un tempo contrapposto al passato e al futuro, ma è ciò che ha la forza di colpire per la sua capacità di richiamare alla verità della vita, spingendo fuori del torpore del già visto, del ripetuto, del preconfezionato.
In questo senso non c’è differenza tra mille anni e il turno di veglia di una notte, come ha voluto richiamare il Meeting, che quest’anno ha rinunciato alle lusinghe della politica (per definizione così mutevole da non poter assicurare il senso della durata e della stabilità) per guardare a ciò che ha un valore permanente nel tempo. Non a caso l’incontro fondamentale è stato dedicato alla storicità dei Vangeli, riproponendo il significato storico della persona di Cristo che dopo duemila anni è ancora il vero presente, ossia l’unico che sa parlare da sempre all’uomo cogliendolo nella sua storia concreta. Solo da un avvenimento può nascere una storia, e il Cristianesimo non è un’idea bensì il prolungarsi di un fatto che raggiunge l’uomo là dove è, nel suo presente appunto.
Perciò la cura del quotidiano deve sempre tener conto che ognuno è chiamato a dare senso al proprio presente, altrimenti, per dirla ancora con Pascal, finisce che “non viviamo mai ma speriamo solo di vivere e, preparandoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai”.