La perdita del senso religioso
Fuori del Coro | n. 25-2004
Si parla molto di religione e mai come nella civiltà secolarizzata c’è attenzione allo studio del fenomeno della religiosità in quanto tale: dalla psicologia che studia il vissuto religioso dell’individuo alla sociologia che si occupa del dinamismo dei grandi movimenti religiosi in rapporto alla collettività, è un pullulare di contributi che cercano di capire perché esista un “homo religiosus”. Eppure, in un recente articolo, un intellettuale attento come Claudio Magris rileva il venir meno del senso religioso, dovuto ad una cultura dominata dal “fai-da-te” della cura dell’anima in cui l’individuo si accosta al divino come se fosse in una sorta di supermarket di prodotti religiosi da scegliere in base all’etichetta più accattivante. Al di là delle esemplificazioni proposte da Magris, rimane la diagnosi: l’Occidente parla di religione ma non ne fa esperienza vera, anzi si trova preda o di irrazionalismi fanatici ed orrendi (che sono la caricatura di un autentico atteggiamento religioso), o di un “fondamentalismo del nulla” che dichiara la tolleranza per tutte le religioni solo perché non ne ritiene vera nessuna. Con ciò si dà un colpo di grazia a chi ripone nelle fedi contrapposte la causa dei conflitti che insanguinano il mondo, per ridire invece che la tragedia dell’uomo post-moderno (figlio del nichilismo di Nietzsche) è nella irreligiosa rinuncia a porsi i grandi interrogativi dell’esistenza per rifugiarsi nell’arrogante difesa di un’accomodante assenza di significato.
Ma questo “gaio nichilismo” incosciente presenta subito il conto: quando si perde il senso della presenza viva e reale di Dio nell’esistenza, quando si elimina un criterio assoluto delle scelte morali radicato nella responsabilità verso il Padre Eterno, tutto diventa lecito e si perde l’unico legame vincolante che possa unire gli uomini ed insieme mantenerli nella rispettosa distanza della reciproca differenza. Allora tutto diventa lecito, perché nella realtà si cessa di scorgere il segno dell’imprevedibile ed indisponibile gesto del Creatore che fa essere ed ama ogni cosa, ed anche Dio diventa una “cosa” tra le altre, in un trionfo dell’effimera mentalità consumistica dell’usa-e-getta. La conseguenza è che tutto viene desacralizzato e nulla riesce più a suscitare lo stupore del Mistero dal momento che il destino sembra in possesso solo dell’uomo.
Esiste però anche l’altra grande tentazione di costruirsi un “Dio a propria somiglianza”, rovesciando l’intenzione biblica che pone l’uomo ad immagine di Dio e non viceversa: è l’idolatria dei fanatismi di ogni marca e della presunzione del poter “creare” una realtà interamente governabile e dominabile. In ciò è compresa anche la pretesa che Dio sia conforme alle nostre aspettative esaudendo esattamente le nostre richieste. Per cui, ad esempio, la presenza del male diventa motivo per l’abbandono della fede, perché se Dio non interviene ad impedire gli orrori dell’uomo allora significa che non è onnipotente, ed allora l’uomo comincia a voler fare da sé dimenticando la sua originaria dipendenza.
Ed è proprio qui che si documenta la perdita del senso religioso: in luogo di riconoscere il Mistero di Dio nell’evidenza di un’assoluta positività di cui cercare la Causa Prima (come faceva la Metafisica classica), ci si accontenta di trovare solo i nessi meccanici presenti nella realtà rinunciando a stupirsi della Grandezza sublime dell’ordine che guida tutte le cose. Anche il Cristianesimo oggi rischia di essere ridotto a “ricetta” per spiegare qualcosa, ma guai se se ne perde l’originalità di risposta totale di salvezza all’attesa dell’uomo: sarebbe il tradimento più grande del senso religioso e l’inganno più terribile della vita.