La tragedia della coca
Fuori del Coro | n. 29-2005
C’è qualcosa di simile alle tragedie greche nella disavventura in cui è incappato il giovane Lapo Elkann, vittima della trappola delle droghe e dell’alcol; ma sarebbe inutile e crudele soffermarsi sulla retorica del ragazzo di buona famiglia incapace di liberarsi dal ruolo di adolescente viziato che vuole provare ogni tipo di “sballo” perché non gli bastano denaro e successo. Poteva trattarsi di chiunque altro, ma ciò che colpisce è il nuovo balzare allo scoperto di un uso indiscriminato di droghe a sostegno di una vita personale probabilmente insoddisfatta, stressata, in difficoltà sul piano della comunicazione ed incapace di relazioni significative.
Non nascondiamoci, infatti, che la cocaina non è solo roba da ricchi, da ragazzi problematici, da persone disadattate, visto che sta diventando un fenomeno di massa anche al di fuori dei mondi dorati dello spettacolo: la usano i manager per tenere un livello alto di prestazioni, serve per vincere la paura di rapporti impegnativi, ci si illude che offra uno stato di sicurezza che senza il supporto chimico non si riuscirebbe a sostenere. Per cui, al di là di facili moralismi o di banali proposte di liberalizzazione, vale la pena di chiedersi perché il fenomeno dell’assunzione di cocaina stia divenendo una vera e propria emergenza del costume odierno.
Le cause non vanno cercate solo in un generico disagio psico-affettivo giovanile (se è vero che la cosa riguarda soprattutto trentenni e quarantenni), né in una generica condanna dell’opulenta società dei consumi, neppure nella constatazione che oggi un limite sembra non esistere più. Più alla radice, bisogna guardare da dove nasce l’illusione che una dose di cocaina possa fare il miracolo di sentirsi meglio nel “duro mestiere di vivere”. La droga è vissuta come la mediazione chimica per superare la difficoltà di relazione, è vista come il sostegno a performance anche lavorative altrimenti insostenibili, è usata per diventare altro da ciò che si è ogni volta che l’esistenza sembra non bastare più a se stessa nel dare risposte adeguate. In sostanza, la cocaina rischia di divenire come una normale medicina, avendo perso nella mentalità corrente anche il ruolo di “trasgressione” al perbenismo, divenendo simbolo dell’uomo “senza limiti” (cioè a cui tutto è lecito solo perché lo vuole) e “senza rete” (cioè lasciato nella solitudine vertiginosa di una libertà sospesa nel vuoto); un uomo che si crede Prometeo, ma che in fondo è solo incapace di guardare la realtà e si trasforma in Narciso.
Ma la promessa di poter agire sui centri nervosi per conquistare l’onnipotenza che non si ha, si trasforma nella schiavitù di affidarsi a sostanze che non c’entrano nulla con il nostro benessere (anzi producono danni spesso irreversibili), rubando il rischio della libertà dinanzi al proprio destino. La tragedia della droga rivela così la sua menzogna devastante: invece di essere grati di esistere, pur con gli inevitabili limiti umani, si preferisce perdersi nell’abisso di un improbabile nirvana che può condurre all’annullamento di sé e sino anche alla morte. Ma tutto ciò allontana dal vero bisogno della vita, quello di essere felici perché si appartiene all’essere, di godere di una compagnia amorosa che sveli continuamente il significato di tutto, di stare dinanzi a sé con dignità e di fronte agli altri senza la paura di essere giudicati in base a stereotipi spesso crudeli e disumani. Giacché la questione è di essere salvati dall’assurdo, di uscire dall’oscurità di un io troppo stretto, di poter guardare oltre sé senza che la propria identità psico-fisica ne esca distrutta.
Perciò c’è da augurare a Lapo Elkann di divenire un testimonial di questa ricerca di verità, non l’icona di un’avventura senza senso.