L’Europa del Card. Ratzinger
Fuori del Coro | n. 21-2004
Si dice spesso che l’identità europea è legata alla sua storia e ai valori originali che costituiscono l’Europa non come entità geografica ma come unità culturale, e ciò è così vero da precedere ogni costituzione politica ed ogni accordo economico, sino a diventare la questione centrale anche in vista delle prossime elezioni. Tuttavia, se ci si chiede cosa è davvero l’Europa al di là dell’euro e delle libere frontiere, è difficile trovare risposte tanto lucide e consequenziali quanto quelle contenute nel discorso tenuto dal Card. Ratzinger il 13 maggio scorso nella Biblioteca del Senato, discorso cui purtroppo la stampa ha dato poco rilievo.
La prima constatazione suscitata dalla lettura di questo denso testo in cui il Cardinale ripercorre le tappe significative del formarsi della coscienza europea (da Erodoto a Carlo Magno, dall’impatto con l’Islam alla scoperta dell’America, dalla Riforma alla rivoluzione francese), è che l’Occidente sta sviluppando un odio verso sé stesso di tipo patologico: “l’Occidente tenta in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro”, come a dire che è in atto una sorta di masochistico rifiuto della propria specificità in nome di una malintesa tolleranza che nasconde in realtà solo un pernicioso scetticismo. Aggiunge, infatti, Ratzinger: “la multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro”. Con ciò è espresso il giudizio chiaro sul suicidio di cui il mondo occidentale è tentato ogni qualvolta dimentica i suoi fondamenti valoriali, che gli hanno conferito tra l’altro una missione nella storia del mondo.
Per Ratzinger l’originalità del destino europeo si radica, invece, su tre fattori universali: l’incondizionatezza della dignità umana e dei suoi diritti (da riconoscere come fonte di ogni legislazione), la difesa della famiglia radicata nel matrimonio tra uomo e donna, la questione religiosa come rispetto verso Dio e ciò che è sacro per la coscienza (rispetto che giustamente il Cardinale ha rivendicato per i cristiani, oggi attaccati in nome del diritto alla libertà di opinioni). Come ben si vede, è messo in gioco l’uomo nella sua assolutezza di valore, non la difesa di qualche forma culturale specifica; per cui è triste constatare che in nome di una debolezza morale o per la paura di affermare l’esistenza della Verità (che ha visto convergere in Europa sia la filosofia che la Rivelazione cristiana) ci si condanni all’insignificanza e, presto, alla sudditanza ad altre civiltà più aggressive o, semplicemente, non soggette al calo demografico (è sconsolante che solo per l’Europa esista una paura dei figli, avvertiti come minaccia al proprio benessere; il che condanna il Continente a diventare “vecchio” d’età, sino al rischio di scomparire).
L’Europa è dunque chiamata a non “odiare” se stessa e a non dimenticare la propria storia e la propria anima originale; ma dal momento che, come diceva Toynbee, sono le minoranze creative a ridare vita ad una società in declino, il Cardinale invita i credenti a concepirsi proprio come quella minoranza creativa che ha il dovere di restituire all’Europa il meglio della sua eredità per il bene dell’intera umanità.