Martiri del XX secolo
Fuori del Coro | n. 18-2000
Nel clima di generale relativismo e di diffusa indifferenza è difficile trovare segni di autentica moralità: si inorridisce al pensiero dei grandi genocidi e dei crimini dell’umanità perpetrati nel XX secolo, ma si stenta a riconoscere dove può trovarsi il vero Bene. Si sa di milioni di uomini uccisi dai regimi totalitari, ma si ignora quasi del tutto che un altissimo tributo di sangue è stato pagato da molti cristiani che possono essere paragonati ai martiri della fede dei primi secoli. Per questo, in occasione del Giubileo, è stata istituita un’apposita commissione incaricata di censire i nuovi martiri della fede del XX secolo, che ha avviato un’indagine nelle chiese locali per segnalare i testimoni (spesso sconosciuti) che hanno pagato con la vita la fedeltà alla loro identità cristiana. Vengono subito alla mente i nomi del vescovo Romero, di Padre Kolbe o di Don Puglisi, ma sono migliaia coloro che, in tutti i continenti, hanno versato il loro sangue pur di non scendere a compromesso con i poteri di turno.
L’iniziativa di contare i nuovi martiri non risponde ad una macabra contabilità, ma è un atto di coraggiosa memoria verso quanti, spesso sconosciuti, hanno offerto la vita per un valore che sfida il tempo e lo spazio. E ciò non ha solo una rilevanza storica (quella di riportare la verità su episodi di persecuzione talvolta ignorati o volutamente rimossi), ma mette in luce una dimensione etica unica: esiste una verità assoluta per cui vale la pena spendersi, altrimenti non avrebbe senso perdere la vita per testimoniare pubblicamente la propria fedeltà.
Infatti la testimonianza manifesta in sé un’enorme forza morale: c’è una fiducia totale in qualcosa di incondizionato e divino che spinge ad impegnarsi, senza riserve e gratuitamente, liberi dal potere o dalle mode, sino ad accettare la morte pur di non tradire il Bene supremo. Il martire non è un masochista; è l’uomo che dà valore alla vita sino a sfidare la violenza che vorrebbe cancellare la sua fedeltà al Signore. Perciò la Chiesa addita ad esempio i martiri del XX secolo non solo come giudizio sulle violenze ideologiche dei vari totalitarismi, ma soprattutto per tener viva la certezza che ci sono valori persino più alti della vita stessa, valori non radicati in una convenzione sociale, ma fioriti dentro un’esperienza di santità capace di contagiare altri uomini.
La lezione è evidente: al di là della contrapposizione fittizia tra una morale religiosa, fondata sull’obbedienza a precetti rivelati, e una morale laica, dipendente solo da evidenze razionali, la testimonianza sino all’effusione del sangue manifesta una certezza interiore così decisiva da porre a tutti una domanda: perché un uomo dovrebbe rinunciare a tutto se non perché attratto da una bellezza unica e vera da seguire? Si può obiettare che la convinzione non fonda di per sé la verità di un atteggiamento morale, ma certamente se tale convinzione è condivisa in tutte le regioni del mondo (dalla Russia all’Africa, dal Messico all’Oceania), qualcosa ci deve pur essere. Infatti, la testimonianza dei martiri rivela che la verità dell’agire nasce anzitutto dall’appartenenza a qualcuno prima che dalla coerenza a qualcosa. Se così non fosse, sarebbe assurdo farsi uccidere, perché nessuna idea, benché alta e nobile, vale la dedizione totale della vita.
Per questo la lezione dei martiri è preziosa come nei primi secoli: essa verrà rievocata domenica prossima con una cerimonia ecumenica al Colosseo, luogo del sacrificio dei primi cristiani; poiché, come ai suoi inizi, il Cristianesimo pone anche oggi il segno dell’impossibile, cioè il dono di sé in nome di qualcosa di più grande.
Questa testimonianza è la risposta più convincente alla sostanziale indifferenza del nostro tempo.