Non dimenticare la memoria
Fuori del Coro | n. 37-2008
I ritmi forsennati della vita quotidiana e l’abitudine a stare sull’attimo come se fosse l’unico tesoro dell’esistenza conducono spesso alla dimenticanza della memoria e alla perdita della dimensione vera del tempo. Una delle conseguenze è lo smarrimento del significato e del valore delle Feste, che del tempo offrono appunto una scansione qualitativa, come testimonia la tradizionale accoppiata della festività di tutti i Santi e dei Defunti, che da sempre hanno una forte suggestione evocativa: il ricordo degli uomini realizzati nella vita eterna (i Santi) introduce, infatti, alla consapevolezza del comune destino del morire e favorisce la coscienza che i propri cari che non sono più fisicamente sono però presenti nel ricordo e nell’onore che a loro si rende con la devozione della visita ai Cimiteri.
Oggi sembra che tutti i giorni siano sostanzialmente identici e lo spessore del tempo è azzerato dalla perdita dei simboli legati alla sensibilità propria della Tradizione; lo spazio sembra invece occupato da pseudo-tradizioni, inventate a tavolino come quella di Hallowen, che vorrebbe sostituire l’austerità realistica delle feste di inizio novembre con una sorta di carnevale fuori stagione che non ha però alcun nesso con la coscienza collettiva. Al contrario, le feste dei Santi e dei Morti hanno la funzione formidabile di riaccendere la memoria dell’infinita distanza e del profondo legame tra Tempo ed Eternità, invitando a ripensare ad una Storia personale e di popolo intessuta dei volti dei nostri cari che ci hanno lasciato e di chi è stato esempio positivo per tutti.
Ogni cultura vera celebra i suoi modelli archetipi (che nella Tradizione cristiana sono i Santi, cioè coloro che hanno realizzato in maniera totale l’Ideale religioso come vertice della loro umanità), ed al tempo stesso onora i morti non per pura nostalgia di chi non è più, ma per un legame vivo radicato nella comunione reale con chi vive già un’altra dimensione della vita, quella eterna, in quella forma che la Chiesa chiama comunione dei Santi. Perciò, il culto dei defunti e la preghiera per loro non sono una macabra e disperata consuetudine, ma diventano segno della gioiosa certezza della Resurrezione, che invita ad inondare di fiori i cimiteri per indicare il destino di gloria cui, anche nella morte, ognuno è chiamato. Così la visita delle tombe rinnova in modo simbolico l’incontro con chi ci è caro, potendo coinvolgere tutti (compresi i bambini che imparano a vedere la morte in maniera quasi naturale) in un gesto dal richiamo semplice e ricco di silenzio che è ricordo realistico del senso della vita. Perciò la memoria dei Santi e dei Morti diventa un formidabile antidoto alla smemoratezza di noi stessi, ed insieme un forte appello a non lasciarsi sopraffare dagli affanni materiali che, per quanto pressanti, non devono annullare la memoria di una visione delle cose in cui l’Eterno trovi spazio nello scorrere feriale degli eventi. E questo non per semplice ripetizione di una tradizione del passato ma perché il presente non vada perduto.
L’inizio di novembre invita perciò a fermarsi almeno qualche istante: dimentichiamo per un momento le contraddizioni dell’oggi, gli affanni politici ed economici, e proviamo a guardare la Storia di coloro che ci hanno preceduto, per rivivere anche il modo o l’atteggiamento con cui hanno affrontato tante difficoltà lasciando l’esempio della loro vita. Impareremo molte cose e saremo più certi che non tutto si gioca solo nell’oggi, ma che esiste una dimensione più profonda dell’essere di cui i Santi ci parlano e in cui i Morti ci guidano, scoprendo il legame indisgiungibile tra le generazioni ed imparando la gratitudine verso chi ci ha preceduto nell’esistenza.