Nostalgia del volto umano
Fuori del Coro | n. 36-1997
La concomitanza temporale della scomparsa di Madre Teresa con i solenni funerali di Lady Diana, pur nella imparagonabile distanza tra le due personalità, ha imposto all’attenzione del mondo il significato della femminilità come figura esplicativa dell’umano.
Il sorriso della bella principessa fuori dagli schemi, dolce ed insicura ma determinata a fare il bene a poveri e bambini, e il volto pieno di pace della piccola suora di Calcutta, angelo dei moribondi e seminatrice di una speranza eterna fondata sull’amore cristiano, si apparentano (e non solo nelle foto che ritraggono le due donne insieme), suscitando nell’immaginario collettivo ammirazione ed affetto di incredibili proporzioni.
In queste due figure si proietta forse il desiderio celato nel cuore di ognuno di ritrovare il volto di una madre amorosa: sarebbe infatti impossibile disgiungere la commozione del mondo dinanzi al feretro di Diana dall’immagine dei figli nel loro composto dolore; così come la Santa di Calcutta, nel suo chinarsi sui morenti per dare tutto quello che possiede, evoca l’amore di una mamma (Madre Teresa appunto) disposta a tutto per i figli. La bellezza di Diana offriva la rassicurante dolcezza dell’infanzia unita allo struggimento per la durezza di una vita in cui i sogni svaniscono; mentre il volto, non bello secondo i normali canoni estetici ma così eloquente ed espressivo, di Madre Teresa indica il respiro di una tenerezza capace di far fiorire la speranza nell’anima.
Due modi dunque di essere donna: il fascino intriso di malinconica seduzione della principessa che voleva essere libera al di là dei formalismi legati al suo rango, e l’esplosione di pacificante serenità della madre dei poveri che ha scelto la sobria semplicità di una vita a contatto solo con la sofferenza, manifestando in questa missione il “genio femminile”. E, conseguentemente, due modi della gente di percepire la femminilità nella sua dimensione di maternità, non solo fisica, per ritrovare la presenza di un volto che rassicuri e protegga, accompagnando la vita verso una positività che solo una madre sa comunicare.
Ma se la regia dei media proietta la figura di Diana nel mito dell’eroina del secolo, affidandole il compito di varcare l’eternità attraverso una sorta di santità laica, la carità di Madre Teresa, vissuta nel silenzio di un’esistenza lontana dai clamori e dalla luci della ribalta, diventa realisticamente il simbolo dell’umanità vera che si realizza nella gratuità e nella donazione senza remore all’altro. Perciò la morte di Madre Teresa suscita la nostalgia di un volto umano che realmente vorremmo stampato nell’eternità e realizzato nella quotidianità di ognuno di noi: in lei, nella sua maternità tutta spirituale ed insieme così fisicamente incontrabile, rifulge il valore della vita che supera la grettezza del calcolo e dell’egoismo, lasciando un segno indelebile che affascina. Per questo tutti sentiamo Madre Teresa come una Santa, una Santa vera davanti a Dio perché lo è stata per gli uomini, perché ha vissuto la sua femminilità dispensando il sorriso della letizia e la certezza tutta materna che ogni esistenza è un tesoro, fosse pure quella di un moribondo abbandonato da tutti.
Dunque alla fine del secolo delle fallite utopie di un mondo nuovo, la figura della Santa di Calcutta svela un’immagine femminile ben più grande di quella del mito fiabesco costruito dalla fantasia della gente intorno alla vita di Diana. Per questo, senza la pretesa di impossibili accostamenti e nel rispetto delle obiettive differenze di percorso nell’esistenza di queste due protagoniste dei nostri giorni, apprezziamo i segni della loro femminilità, tanto essenziale per ricomporre l’autentica fisionomia umana di cui siamo in cerca.