Regole, politica e democrazia
Fuori del Coro | n. 05-2010
Il brutto pasticcio delle liste elettorali a Roma ed in Lombardia è un indice della crisi in cui versa la società italiana rispetto alla politica e ad una concezione realmente democratica della vita pubblica. È quasi scontato stupirsi della superficialità (o forse ingenuità) con cui si sono affrontate le procedure di deposito delle liste, commettendo inesattezze sul piano formale e dimostrando approssimazione e sciatteria sui particolari, ma il problema della conseguente esclusione dalla tornata elettorale delle liste di maggioranza non è meno grave perché impedisce ad una larghissima fascia dell’elettorato di essere rappresentata, introducendo una delegittimazione di fatto anche di chi ottenesse una “vittoria a tavolino”. Una soluzione deve essere trovata a tutti costi, senza dare l’impressione che le regole siano fatte per essere trasgredite, ma altrettanto senza creare nel cittadino l’idea che la forma della Legge debba prevalere sulla sostanza. La questione è complessa, poiché mette in gioco le condizioni stesse della convivenza civile, ma sarebbe riduttivo sia fare come se nulla fosse accaduto, quanto difendere solo il principio che il rispetto delle regole sia l’anima vera della democrazia. La domanda importante è invece su cosa significhi la politica per il bene comune della società, concependo la democrazia come modalità per rispettare la libertà di tutti di essere adeguatamente rappresentati ed usando le regole non come catena per imprigionare, ma come vincolo perché il diritto di tutti sia rispettato e promosso. L’interrogativo spontaneo che nasce è allora se la forma della regola, applicata rigorosamente e senza accettazione della possibilità di emendare l’errore, non debba trovare soluzioni rispettose del diritto di tutti gli elettori di poter essere rappresentati da chi vorrebbero scegliere.
Se la forma vincesse, si configurerebbe una pericolosissima inimicizia tra legge e libertà in nome di un’eguaglianza che oggi soddisfa alcuni e domani scontenta altri, ma che nel tempo verrebbe sentita come un tradimento verso tutti o come semplice arma per eliminare l’avversario. E non c’è nulla di peggio che vincere sull’errore di altri. Perciò meglio una possibilità in più di correzione e di recupero della possibilità perduta con l’errore materiale attraverso un “ravvedimento operoso”, piuttosto che creare un vuoto di rappresentanza. È chiaro che qui deve vincere una lealtà reciproca, in cui la legge venga accolta non solo come vincolo sanzionatorio che non ammette deroghe, ma piuttosto come garanzia di effettiva e realistica parità di opportunità; ma è chiaro che occorre vedere la legge non come uno strumento che stringe, ma piuttosto come la “corda di sicurezza” che funge da vincolo virtuoso e di garanzia per tutti quelli che sono in cordata.
La legge crea di fatto un costume; perciò deve insegnare la precisione ed il rigore, ma deve anche consegnare l’idea di una fiducia reciproca basata non solo su un’eguaglianza formale ma sul rispetto sostanziale dell’altro. Il sale della democrazia è il legame di stima e lealtà reciproca nella diversità, e compito delle regole è unire, non dividere, promuovere responsabilità e non solo punire. Perciò occorre ritrovare la corrispondenza tra legge ed esigenze giuste della persona (secondo l’antica Lex Naturalis), affidando alla politica il compito di cercare realisticamente le soluzioni migliori per esprimere storicamente questo bene di tutti.