Tempo di bilanci
Fuori del Coro | n. 47-2007
La fine dell’anno induce inevitabilmente a fare bilanci: quelli economici delle imprese e delle famiglie, quelli morali della vita personale e sociale, quelli di senso rispetto alla storia e al destino dell’umanità. Bilancio è normalmente il paragone del peso specifico degli attivi e dei passivi, del positivo e del negativo e ricorda la bilancia che si piega in un senso o nell’altro. Ma non è sempre possibile stabilire un netto segno più o un netto segno meno nella partita doppia della storia, perché spesso anche il male produce qualcosa di buono e il bene è, a volte, solo apparente. Eppure un bilancio siamo tutti portati a farlo in ogni ambito o settore dell’avventura umana, anche se il relativismo ci impedisce spesso di avere un’unità di misura credibile e condivisa per dire se la bilancia pende da un verso o nel senso opposto.
Il problema è proprio qui: qual è il criterio per fare un buon bilancio, soprattutto in un momento in cui tutto sembra crollare e disfarsi tra le mani? Dove sta il bene e dove l’illusione o la menzogna? Occorre ritrovare dei criteri, altrimenti anche il bilancio di fine anno diventa formale ed inutile. Provo ad elencarne alcuni.
Il primo si misura sulla Verità: un bilancio è in attivo quando nella vita e nelle relazioni è prevalso lo spirito della verità sulla menzogna, quando cioè ci si è guardati con uno sguardo pulito e si è letta la storia senza mistificarla o tradirla. La parola è impegnativa, ma siamo veramente tutti stanchi di discorsi che non rispecchiano la realtà ma la mistificano in interessi di parte o in ideologie astratte.
Il secondo criterio è quello delle relazioni: è attivo un bilancio in cui siano prevalsi gli incontri significativi sulla solitudine e l’isolamento, cioè laddove il tempo non è stato il solipsistico autocontemplarsi narcisistico dell’io, ma ha creato occasione di apertura verso altri.
Il terzo criterio è quello della felicità: si badi bene non la misurazione del semplice grado di benessere o di soddisfazione raggiunto, ma la misura della pienezza di vita in cui ci si è trovati. Qui non contano solo salute, soldi, successo, ma è in gioco quanto la vita ha ritrovato se stessa nella verità e nelle relazioni e quanto l’io è davvero cresciuto nella sua umanità acquisendo una maggiore certezza del proprio autentico destino. E questo è il punto più difficile perché la felicità non è una grandezza esprimibile, ma una conquista continua che tende a configurare uno stato della persona e non solo una sequenza di momenti felici o di opportunità fortunate.
Ma c’è un punto ancora più arduo su cui fare il proprio bilancio, ed è quello della propria coscienza dinanzi all’Infinito. Quanto l’Assoluto (normalmente si dice Dio) è entrato nell’esistenza per illuminarla? Quanto la finitezza di ognuno ha superato se stessa nella Trascendenza di quel Tu più grande senza cui l’io è come una particella sperduta nell’infinità del cosmo? Si dirà: siamo nel campo di un bilancio che a nessuno è possibile fare; ma la domanda sul senso dell’io è ineludibile e lo scoccare della mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno vecchio per iniziare quello nuovo, è un’occasione che invita a pensare. L’uomo non è fatto per perdere il suo tempo, perché è creato per l’Eterno, per quell’Infinito di cui si diceva. Ed ecco che allora il bilancio diventa la domanda sul tempo e sul valore che esso ha per noi.
Verità, relazioni, felicità, Dio: tutto ha a che fare con il tempo della vita ed il bilancio non è l’assurda pretesa di fermare il tempo dentro uno schema, ma è semmai l’invocazione che tutto riprenda il suo giusto scopo, la sua direzione adeguata perché ogni uomo diventi più uomo.
È questo l’augurio che dobbiamo farci di un felice anno nuovo che non si limiti ad archiviare il vecchio.