Un Papa radicato sulla roccia della certezza
Fuori del Coro | n. 08-2010
I violenti attacchi contro Benedetto XVI si sono riacutizzati proprio nei giorni del suo 83° compleanno e al compimento del suo quinto anno di pontificato. Perché questa coincidenza, verrebbe da chiedersi? Forse per fiaccare l’umore di un pontefice anziano e cercare di accelerare la fine del suo pontificato? Forse, ma la spiegazione più plausibile è quella per cui il Papa ha suscitato, con la sua chiarezza dottrinale e il suo tenace rigore morale, un fastidio al mondo che non intende per nulla rinunciare alle pretese del relativismo, e che perciò non vuole accettare la proposta della Verità da nessuno.
Sui fatti della pedofili non solo Papa Ratzinger non è stato reticente, ma ha esercitato tutta la sua autorità apostolica per deplorarne la gravità per condannare e per punire, ma soprattutto ha spiazzato tutti richiamando l’urgenza della penitenza e della preghiera di fronte all’origine di questo male dentro e fuori la Chiesa, che è indice di quella situazione di peccato presente in ogni uomo e che chiede di essere redenta “dall’alto”. La presunta autonomia del soggetto da ogni dipendenza dalla Verità porta solo all’obbrobrio di mali gravissimi che solo Dio può guarire, per cui, paradossalmente, oggi il Papa è più forte perché, chiamando il peccato con il suo nome, non solo non lo giustifica ma lo consegna ad una forza redentrice ben più grande e più giusta di quella di qualsiasi tribunale umano. Non comprendere questa posizione conduce all’astio verso il Pontefice che non accetta, invece, il conformismo relativista della nostra società, e che parla non solo contro la pedofilia, con prese di posizione peraltro assolutamente chiare ed univoche, ma contro ogni forma di peccato.
Recentemente il Papa ha parlato della “dittatura del conformismo” come una violenta pressione per cui “diventa obbligatorio pensare come pensano tutti”, evitando di accettare l’elementare verità che nessun uomo si costruisce da sé o può pretendere di essere giudice unico ed imparziale del destino proprio ed altrui. La presunta autonomia è “una menzogna ontologica, perché l’uomo non esiste da se stesso e per se stesso”, ed è anche “una menzogna politica e pratica perché la collaborazione e la condivisione della libertà è necessaria, e se Dio non esiste, se Dio non è un’istanza accessibile all’uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza”, un consenso facilmente governabile e manipolabile dal potere di turno, che diventa “l’ultima parola alla quale dobbiamo obbedire” in nome del dogmatico primato dell’interesse prevalente.
La battaglia culturale contro il Papa sta tutta qui: in cinque anni egli ha demolito culturalmente e praticamente la pretesa dell’uomo di farsi da sé costruendosi secondo le proprie opinioni, ed oggi è chiamato a difendersi dinanzi al Tribunale di turno che si straccia le vesti sui peccati di natura sessuale (proprio quelli tanto amati dal libertinismo illuminista e post-moderno!), ma che è poi perfettamente consenziente sui delitti che riguardano l’inizio e il fine vita su cui la Chiesa non smette invece di predicare! Ma la forza dell’intelligenza unita alla delicatezza severa sul piano pastorale di Benedetto XVI fa paura perché unisce la caritas (essenza stessa della natura di Dio) alla Veritas (forma dell’amore non sentimentalistico o strumentale). E questa sintesi è scomoda perché mette al centro il rispetto di tutto l’uomo e di ogni uomo, stigmatizzando non solo gli abusi ignobili della pedofilia, ma qualunque altro sfregio all’umanità. Dinanzi a tante offese, la risposta del vecchio Papa è però la serenità di un volto pieno di tenerezza, di chi va per la sua strada incurante del disprezzo del mondo, non in virtù di un cinismo imperturbabile ma in forza della certezza che gli è donata da un Altro.