Un pontificato compiuto
Fuori del Coro | n. 10-2005
Ora che Giovanni Paolo II riposa nella pace dei giusti, c’è da chiedersi perché la sua morte abbia suscitato tanta partecipazione e quale sia l’eredità irripetibile che lascia al suo successore e all’intera umanità.
Ciò che colpisce anzitutto in questo pontificato è il fascino della sua compiutezza, del suo aver toccato dottrinalmente e praticamente tutti i fattori dell’umano, sia attraverso la chiarezza del magistero sia con la personale testimonianza della sua esistenza, in una comprensione di tutte le esperienze che gli ha conferito una paternità universalmente riconosciuta. Infatti, nella vita di Giovanni Paolo II si ritrova la completezza di un pensiero veramente “cattolico” che ha dato vigore ad un totale coinvolgimento con il mondo intero, muovendo dalla difesa dell’identità cristiana come capacità di valorizzare ogni frammento di verità contenuto nelle diverse culture dei popoli, ed esaltando l’immagine creaturale della persona nella sua somiglianza a Dio, per evitare (come ha ricordato il card. Ruini) “lo scontro tra civiltà”, che dimostra l’esito rovinoso dell’esasperazione delle differenze. Perciò, mentre ognuno ricorda un aspetto della vita di Wojtyla che lo ha colpito (e primo fra tutti il l’insegnamento impartito dalla “cattedra della sofferenza”), è importante comprendere che il cuore del suo magistero è da trovare in questa originale posizione culturale.
Sin dall’inizio del pontificato Giovanni Paolo II ha sottolineato il valore della cultura per comprendere l’uomo e la storia, intendendo per cultura l’insieme dei significati con cui l’individuo e i popoli danno senso alla loro esistenza, sottolineando quanto la ricerca della Verità sia l’antidoto al disperato nichilismo delle civiltà occidentale, che scaturisce dalla riduzione/negazione della Ragione come comprensione della realtà. Al cuore della cultura c’è però sempre il rapporto tra fede e ragione (Fides et Ratio è il titolo di una delle più belle encicliche), ossia il nesso tra l’adesione a Cristo vero redentore dell’uomo e tutte le esigenze di bellezza e di bene presenti ed invocate nel naturale senso religioso. Questa scintilla di verità che unisce la fede e la ragione permette di incontrare chiunque, ed apre al dialogo con tutti (che è stata la caratteristica irripetibile del viaggiare di Wojtyla), divenendo il massimo fattore di costruzione di pace tra i popoli, proprio perché crea “simpatia”, cioè capacità di “portare insieme” il valore dell’esistenza nella sua originale gratuità di “dono e mistero” (per usare una definizione che il Papa ha dato della sua vita e della sua vocazione). Perciò questo pontificato è stato un inno alla vita dell’uomo, “unica via della Chiesa”, all’uomo che nasce nella famiglia (mai si è visto un insegnamento così ricco e completo sulla famiglia, sull’amore, sulla sessualità, sul genio femminile), all’uomo che lavora e che si impegna nella società e nell’economia (si pensi al rilancio che Giovanni Paolo II ha fatto della Dottrina sociale della Chiesa), all’uomo che cerca la bellezza (ricordiamo la lettera agli artisti), all’uomo di tutte le età (indimenticabile il suo rapporto con i giovani, ma anche la tenerezza di lui anziano per gli anziani, cui ha dedicato una delle lettere più sentite), all’uomo sofferente di cui ha portato carnalmente il dolore.
Ma, ultimamente il segreto di questo pontificato, così ricco e completo, risiede nella santità: nessun Papa aveva mai proclamato tanti santi e beati come Karol Wojtyla, che ha voluto proporre il volto dei santi come il segno più alto della riuscita umana della fede. Per questo il “santo subito” risuonato durante le esequie è la chiave di lettura suggerita dall’intuizione popolare come suggello della vita di Karol il Grande.